Smart working, per la sostenibilità aiuta ma non basta

Smart working e sostenibilità sono due concetti spesso associati nell’opinione pubblica ma la verità è che la questione è più complicata di quel che sembra. Secondo uno studio dell’ENEA il lavoro da casa non è sempre la soluzione più green. Anche se si limitano gli spostamenti infatti a salire sono i consumi e il bilancio si fa precario.

Smart Working e sostenibilità ambientale
Lo smart working viene spesso considerato un alleato della sostenibilità ambientale. Lavorare da casa significa infatti non dover raggiungere gli uffici e, quindi, limitare le emissioni di gas serra connesse ai trasporti. A beneficiare dei nuovi regimi di attività è anche la mobilità urbana. I dati mostrano che nel 2023 il 56% della popolazione mondiale viveva nelle città e nei prossimi 25 anni ci si attende un ulteriore peggioramento. Il numero di abitanti del pianeta toccherà probabilmente quota 9 miliardi e almeno 7 persone su 10 vivranno nelle metropoli.
Ridurre il traffico appare quindi prioritario e un miglioramento della qualità dell’aria potrebbe fare da piacevole effetto collaterale. Ci sono però altri fattori da considerare. Efficienza energetica delle abitazioni, giorni di lavoro da remoto concessi, mezzi scelti per gli spostamenti obbligatori e massiccio impiego della tecnologia risultano in grado di alterare pesantemente il quadro.
Impatto ambientale dello smart working
A concentrarsi sull’effettiva sostenibilità dello smart working ci hanno pensato dei ricercatori dell’ENEA. Gli scienziati hanno analizzato i dati relativi a 2.000 dipendenti della pubblica amministrazione in telelavoro tra Bologna, Roma, Trento e Torino. Prima dell’adozione dello smart working gli individui percorrevano in media 30 chilometri al giorno per andare in ufficio, con tragitti della durata di 1.20 ore.
Il 12% dei dipendenti affrontava spostamenti superiori ai 100 km. A Roma per altro la media di viaggio era di circa 2 ore al giorno. Il 47% delle persone puntava inoltre su veicoli privati. Lo studio ha mostrato allora che 2.1 giorni di lavoro da remoto hanno portato a una riduzione media giornaliera di 6 chilogrammi di emissioni di CO2 per lavoratore. In un anno ciascuno ha dunque evitato di introdurre in atmosfera 600 kg di anidride carbonica e ha risparmiato 8.6 gigajoule di carburante.
Smart working: abitudini dei dipendenti e sostenibilità
I dati sulla sostenibilità dello smart working sono incoraggianti ma esiste anche il rovescio della medaglia. Alla riduzione dell’utilizzo di energia negli uffici si accompagna un aumento dei consumi a livello domestico, connesso a impiego della tecnologia e uso più massiccio di impianti di riscaldamento o di raffreddamento. Tracciare un quadro lineare non è qui possibile perché molto dipende dall’efficienza energetica degli edifici e dalle abitudini dei singoli.
Quando gli uffici vengono mantenuti la situazione si fa ancora più complessa. Si assiste poi a un “effetto rimbalzo”. Il traffico in città diminuisce ma la mobilità di quartiere aumenta. Appare in crescita anche la quantità di persone che si trasferisce in periferia. Chi fa questa scelta va incontro a viaggi più lunghi nei giorni in cui deve raggiungere la sede di lavoro e ciò rischia di vanificare i vantaggi ambientali dello smart working.
Lo smart working appare in grado di favorire la sostenibilità ma a decretare il successo ambientale del lavoro da remoto sarà la fisionomia delle città del futuro. Le autorità sono chiamate a pianificare investimenti in mobilità attiva e mezzi pubblici per migliorare la connessione tra le varie aree urbane. Contrastare le forze centrifughe concependo centri di vita più compatti è l’altro step da non trascurare.
