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Il primo gastronomo: Jean-Anthelme Brillat-Savarin

Il primo gastronomo: Jean-Anthelme Brillat-Savarin

Gastronomo ante litteram il francese Brillat-Savarin ha aperto la strada alle future generazioni di assaggiatori gourmand

Normalmente si pensa che dietro ad un’opera di gastronomia del calibro de La fisiologia del gusto si nasconda la mano di un cuoco, e se risulta vero in molti casi, Anthelme Brillat-Savarin è un’eccezione sicuramente degna di nota. Avvocato, giudice, politico, ufficiale dell’esercito, esule, professore di francese, musicista e gastronomo, Brillant-Savarin è stato molte figure ma di certo mai un professionista della cucina, eppure è stato l’autore di uno dei primi trattati che a pieno titolo possono considerarsi gastronomici.

«La scoperta di un manicaretto nuovo fa per la felicità del genere umano più che la scoperta di una stella»

La vita

Nacque il 2 Aprile 1755 da una famiglia di estrazione altolocata in una provincia al confine con la Savoia. Figlio di avvocati, intraprende e conclude studi di giurisprudenza, anche se alcune fonti lo vogliono già portato al buon cibo grazie ai parenti buongustai. La sua fu una vita movimentata a cavallo della rivoluzione francese e l’impero di Napoleone, anche se in qualche modo la sua carriera nella magistratura riuscì a sopravvivere agli sconvolgimenti politici del tempo, obbligandolo però in alcuni casi a lasciare la sua patria per lidi più tranquilli, come la Svizzera e New York. A caratterizzare però il personaggio che si intravede nelle righe de La fisiologia del gusto sono i sontuosi banchetti che Brillant-Savarin teneva nel suo maniero di Vieu, dove trascorreva un paio di mesi in autunno per la stagione della caccia.

Il primo gastronomo

L’opera per cui verrà ricordato rappresenta solo un divertissement per l’autore, che scrisse molte opere di politica economica e giurisprudenza, ma fu abbastanza importante da occupare gli ultimi anni della sua vita. Fu pubblicata, per di più, con una certa riluttanza nel 1825 a proprie spese, e in maniera anonima, per evitare lo scandalo che avrebbe potuto suscitare un giudice della corte di Cassazione dedito a ‘frivolezze’ gastronomiche. Nonostante queste premesse il libro divenne ben presto un best-seller, ampiamente apprezzato anche se non esente da critiche, tra le quali spicca quella di Balzac, che definì il testo “un minestrone” per la sua struttura frammentaria e divagante. Ed è in questa sua natura poliedrica che risiede il fascino di un’opera che non riesce ad iscriversi ad un genere ben preciso ma che piuttosto spazia da riflessioni di natura scientifica e filosofica ad aneddoti personali, senza tralasciare qualche confessione intima.

Nel trattato l’autore si descrive come un attivo gourmand, tratteggiando una società nel pieno fermento del Positivismo e delle prime teorie naturalistiche. In quello che potrebbe essere considerato un memoriale gastronomico, l’autore descrive il passaggio dalle antiche delicatezze come dolciumi, vini e liquori, a nuove geografie del cibo e nuovi modi di mangiare figli della Rivoluzione, in cui per la prima volta si sottolinea l’importanza, oggi imprescindibile, dei prodotti locali e stagionali, divenendo teorico antesignano del ‘km zero’.

Fonti: TaccuiniStorici - PiattoForte - Treccani - Wikipedia


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