Il mito secondo Gualtiero Marchesi

Lo chef Gualtiero Marchesi, considerato un Maestro della cucina italiana, durante il conferimento della Laurea magistrale Honoris causa tenutosi qualche anno fa a Parma ha tenuto un’interessante Lectio Magistralis. Tre le tematiche fondamentali di cui lo chef parlò quel giorno: armonia, bellezza e mito. Delle prime due vi abbiamo già parlato in un paio di articoli precedenti. Nel nostro ultimo articolo parliamo del mito, secondo Gualtiero Marchesi, e della tipicità.
Come tipico diventa mitico
Se dovessimo cercare di definire il concetto di mito ci troveremmo a indicare fondamentalmente un racconto che deve racchiudere in sé funzioni sociali: «grazie ad esso un’esperienza complessa diviene comunicabile». Anche in cucina avviene qualcosa di molto simile, mettendo a punto una serie di riti con il compito di trasformare l’innovazione in tradizione.
Dal ristorante al menù, arrivando fino al piatto, ogni componente della ristorazione ha il compito di raccontare qualcosa, restituendo la «componente costitutiva dell’identità collettiva.» È così che una ricetta, quando viene riconosciuta come buona, si trasforma in un mito, qualcosa che suggella il piatto nella cultura gastronomica, trasformandolo da innovativo in tradizionale.
Occhio a non esagerare
Non bisogna comunque abbassare la guardia: per molti la parola «tipico» è diventata una scusa per infarcire di valore qualcosa che in realtà non meriterebbe attenzioni. Perché «quello che noi cerchiamo nella tipicità non risiede tanto nelle caratteristiche materiali di un cibo, un piatto, una cucina, ma anche messaggio, ricordo, testimonianza». Questo fa un prodotto o un piatto tipico: evoca ricordi, racconta storie.
Così molti prodotti sono divenuti tipici, quando sono stati associati ad un territorio e la sua storia. Solitamente queste ricette o preparazioni hanno l’incredibile capacità di toccare certe corde, in noi stessi, molto intime e profonde. Ed è così che nasce il mito.
