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Le zeppole di San Giuseppe, i dolci della festa del papà

Le zeppole di San Giuseppe, i dolci della festa del papà

Per la festa di San Giuseppe e per la festa del papà del 19 marzo in tutta l’Italia esistono diversi dolci tradizionali, ma le zeppole di San Giuseppe, sono certamente le più celebri.

Fritte o al forno, le zeppole di san Giuseppe sono un dolce tipico dell’Italia meridionale preparato per la festa del santo patrono dei falegnami e dei papà, il 19 marzo. Anche in molte altre regioni d’Italia in questo giorno troviamo frittelle di San Giuseppe, come quelle di riso umbre, toscane e siciliane, o i friciò piemontesi e genovesi, e zeppole sono chiamate quelle dell’Italia meridionale, ma Napoli ne rivendica l’origine.

L’origine delle zeppole di San Giuseppe

Emmanuele Rocco, studioso di cose napoletane, scrive un «trattatello» proponendo addirittura di dedicare un monumento a questi dolci con l’iscrizione: «Napoli inventò le zeppole, tutta l’Italia si leccò le dita». San Giuseppe è una festa molto importante in tutta l’Italia ma Napoli è particolarmente devota al santo perché custodisce la reliquia della mazzarella, il suo bastone. Così importante da permettere uno strappo alle regole del digiuno quaresimale. Si dice che i Borboni avessero chiesto al loro cuoco un dolce per Quaresima privo di ingredienti di origine animale. Infatti, le prime zeppole non contengono uova e venivano fritte nell’olio di oliva.

Di certo la storia delle zeppole di San Giuseppe è molto antica e si associa a tutte quelle feste che celebravano l’inizio della primavera come le Liberalia, feste dell’antica Roma in onore delle divinità del vino e del grano, quando si usava distribuire frittelle di frumento per strada e si accendevano falò di purificazione, usanza ancora viva in molte regioni italiane. L’associazione a San Giuseppe sembra invece risalire a una leggenda secondo la quale durante la fuga in Egitto il santo avrebbe dismesso i panni di falegname per indossare quelli del frittarolo e sostenere così la sua Famiglia. Un vero cuoco di strada, antesignano dello street food.

La forma e il nome delle zeppole di San Giuseppe

La tradizione attribuisce l’invenzione e soprattutto la forma alle monache di diversi conventi napoletani, come quello dello Splendore, della Croce di Lucca o di San Gregorio Armeno: una ciambella ottenuta calando l’impasto nell’olio bollente per mezzo di una sac à poche.

Le origini del nome sono varie e fantasiose, come quella che fa riferimento alla forma del serpente aggrovigliato su se stesso, serpula. Per altri si tratterebbe della corruzione del nome del primo frittarolo napoletano, zi’ Paolo. Quella del frittarolo o zeppolaro è un mestiere molto diffuso a Napoli, citato da Goethe nei suoi «Ricordi di viaggio in Italia», che descrive in modo divertente proprio la festa di San Giuseppe, quando giovani travestiti da angeli, con improbabili parrucche bionde e ricciolute sulla testa, offrivano frittelle ai passanti dei vicoli, tra quadri con le figurazioni delle pene dell’inferno e padelle piene di olio bollente sul fuoco vivo dei fornelli portatili.

Le prime ricette delle zeppole di San Giuseppe

La prima ricetta ufficiale si data al 1837 ed è riportata dal «Trattato di cucina teorico-pratica», opera di Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino e discendente del famoso poeta del ‘300 Guido Cavalcanti. Nel menu del 19 marzo, il gastronomo prevede le zeppole. Questa ricetta, che si trova nella seconda parte del libro, quella in dialetto napoletano, tradendo la loro origine popolare, non prevede uova, ma solo acqua, farina, un po’ di vino bianco e la frittura in olio o strutto, infine le decora con zucchero, miele o giulebbe (sciroppo di zucchero).

Pasquale Pintauro, zeppolaro di via Toledo e inventore della sfogliatella, alcuni anni dopo, nel 1840, presenta una versione rivisitata e arricchita proprio in occasione del 19 marzo: prepara un impasto a base di acqua, burro, poca farina e uova e le frigge due volte, la prima in olio con frittura profonda e poi nello strutto. Infine le farcisce di crema pasticcera e le decora con amarene sciroppate o sotto spirito, aggiungendo il profumo e la freschezza della primavera. Per inciso la pasticceria Pintauro oggi è ancora aperta!

Pasta choux o pasta bignè

Con buona pace dei salutisti, tradizionalmente la zeppola è rigorosamente fritta. Oggi esiste la versione al forno, utilizzando la pasta choux, la pasta dei bignè di origine francese che leggera, delicata e morbida si cuoce in forno ma si presta molto bene ad essere fritta e infatti è usata anche per le zeppole di San Giuseppe. Sempre Ippolito Cavalcanti la chiama pasta bignè e la impiega per preparare dei dolci destinati alla Domenica delle Palme. Si tratta quindi di frittelle di pasta choux o pasta bignè - quindi con le uova - fritte nello strutto bollente e spolverate di zucchero.

Nella settima edizione del suo Trattato, datata al 1852, questa stessa ricetta appare sotto il nome di zeppole. La pasta bignè appare in numerose altre preparazioni del libro, sia salate (la pasta crisciuta) che dolci, come le tortanette, fritte e decorate da confettura di amarene con una spolverata zucchero e cannella.

Le zeppole di San Giuseppe: fritte o al forno?

Dicevamo che le zeppole sono tradizionalmente fritte ma oggi ha preso piede la versione al forno e anche le farciture non si limitano più alla classica crema pasticcera con le amarene, ma anche crema gianduia e crema chantilly. Nell’eterna diatriba tra zeppole di San Giuseppe fritte o al forno, dove i puristi chiamano zeppole solo quelle fritte e bignè quelle al forno, oggi possiamo scegliere tra tante alternative e non soltanto nella diversa farcitura della crema. Alternative light soprattutto: senza burro, senza zucchero e senza frittura, oppure senza glutine per i celiaci.

Comunque è sbagliato demonizzare il fritto: se eseguito osservando una giusta temperatura dell’olio, che deve essere compresa tra 160°C e 180° C, cioè senza raggiungere il punto di fumo che sviluppa l’acroleina, tossica per il fegato e irritante per la mucosa gastrica, se si seguono uno stile di vita sano e un’alimentazione equilibrata e se soprattutto non se ne fa un consumo continuo e sconsiderato, non fa male e non fa neppure ingrassare. Per questo, come si dice, semel in anno licet insanire, cioè una volta l’anno (e anche qualche volta di più) è lecito fare pazzie!


Maria Milvia Morciano
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Archeologa e storica dell’arte, sono dottore di ricerca, specializzata in archeologia e autrice di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative. Sono una esploratrice bulimica di luoghi e biblioteche, mentre con il cibo ho un rapporto sereno e convinta che sia la chiave per capire il mondo e le persone. Il mio motto è: dimmi come mangi e ti dirò chi sei.
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