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Le piante possono essere dei sensori ambientali

Le piante possono essere dei sensori ambientali

Una ricerca californiana studia l’impiego delle piante come sensori ambientali per individuare la presenza di sostanze inquinanti.

L’ambiente è un sistema in cui tutto, in un modo o nell’altro, è in relazione con gli altri elementi dell’ecosistema. Secondo questo ragionamento, le piante possono essere dei sensori ambientali in grado di rilevare ed avvisarci della presenza di sostanze inquinanti. Una ricerca svolta dall'University of California di Riverside sta sperimentando l’utilizzo delle piante chiamate arabetta per rilevare la presenza di inquinanti.

Le piante possono essere dei sensori ambientali
@envatoelements

Monitorare l'ambiente

Monitorare la qualità dell’ambiente è necessario per evitare di incorrere in pericoli per la salute dell’uomo e delle altre forme di vita. Solitamente, per verificare la qualità di un terreno, i ricercatori devono prima andare sul posto, prelevare dei campioni di suolo ed eseguire delle analisi chimiche in laboratorio. Nel suo complesso il processo può risultare anche complicato, sia in termini di tempo che di lavoro da parte degli operatori.

Tutto ciò, però, potrebbe cambiare. Infatti, la ricerca condotta dalla University of California di Riverside permette di velocizzare i tempi e ridurre i costi. Nel concreto, i ricercatori hanno trovato il modo di trasformare le piante in dei sensori ambientali. Le piante si colorano di rosso in presenza degli inquinanti. In questo modo, basta una foto aerea per vedere se sono presenti delle sostanze dannose per il suolo.

Come funzionano le piante trasformate in sensori ambientali

I ricercatori hanno reso le piante in dei veri e propri sensori ambientali modificando geneticamente delle proteine. Nello specifico, il gruppo di ricerca ha eseguito gli esperimenti sulle piante chiamate arabetta (Arabidopsis thaliana). La scelta è ricaduta su queste piante perché sono le prime di cui disponiamo il genoma sequenziato. Per lo stesso motivo, sono anche tra le piante più sfruttate per gli studi scientifici.

In caso di siccità queste piante producono un fitormone, chiamato acido abscissico, che provoca la chiusura degli stomi. Questi ultimi sono paragonabili ai pori della pelle. La loro chiusura evita che le piante perdano acqua a causa dell’evaporazione. Con le modifiche apportate dai ricercatori, le proteine mutate trattengono le sostanze inquinanti. Come conseguenza, le piante si colorano di rosso.

Il benessere delle piante trasformate in sensori ambientali

I ricercatori hanno pensato di preservare anche la salute delle piante utilizzate come sensori ambientali. Infatti, le modifiche genetiche sulle proteine non interferiscono con il normale metabolismo delle piante. Quindi, queste ultime possono chiudere gli stomi, crescere e svilupparsi come prima.

La tecnologia che sfrutta le piante come sensori ambientali può essere applicata per rilevare diverse sostanze. Attualmente le piante che fungono da sensori ambientali si tingono di rosso in presenza dell’azinphos-etile, un pesticida molto tossico per l’uomo. La ricerca procede per utilizzare questa tecnologia anche per altre analisi chimiche. Tra queste, l’individuazione di sostanze presenti nell’acqua potabile.

Rilevazioni più semplici

La ricerca sulle piante utilizzate come sensori ambientali è ancora agli inizi. La speranza dei ricercatori è quella di ottimizzare questa tecnologia per rendere più semplice l’individuazione di sostanze inquinanti presenti nell’ambiente. Le piante modificate geneticamente non sono in commercio e la ricerca è ancora in fase sperimentale. Non è escluso l’impiego di altri organismi, come ad esempio i lieviti.


Emmanuele Occhipinti
Scopri di più
Una passione per la natura coltivata fin da piccolo mi ha condotto a studiare Scienze dell’Ambiente e della Natura ma, in seguito ad un sogno rivelatorio (se si vuole credere a questa versione), mi sono ritrovato con carta, penna ed un sogno nel cassetto.
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