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Le frittelle di Carnevale nella tradizione regionale italiana

Le frittelle di Carnevale nella tradizione regionale italiana

Dolci, morbide o croccanti, le frittelle di Carnevale sono un piacere tanto irrinunciabile quanto calorico. Si sa: a carnevale ogni scherzo vale, anche in barba alla bilancia.

Non è davvero festa senza le frittelle di carnevale. Dolci, saporite ma anche sostanziose perché, appunto, cotte nell’olio o nello strutto. Il motivo storico di questa tradizione come sempre c’è: il Carnevale precede la Quaresima, periodo che secondo la tradizione cristiana deve essere dedicato a uno stile alimentare rigoroso, che in alcuni giorni, come il Mercoledì delle Ceneri, abolisce la carne. Infatti, una delle varie ipotesi sull’etimologia del carnevale fa derivare il nome dall’espressione latina «carnem levarem», cioè togliere la carne.

Perché a carnevale si mangiano le frittelle?

Con la Quaresima arriva la primavera e l’aria si fa tiepida. In passato, quando non esistevano frigoriferi o altri metodi di conservazione, in questo periodo era necessario dare fondo a quei cibi grassi avanzati dall’inverno che non avrebbero resistito al caldo. I protagonisti delle feste di Carnevale sono i fritti e soprattutto le frittelle perché nella società contadina, in questo periodo, rimanevano ancora provviste di strutto, ricavato dal maiale ucciso a novembre, che era necessario consumare perché con l’arrivo della stagione calda sarebbe irrancidito.

A Carnevale, festa che soprattutto nel passato permetteva di abbandonarsi a una sorta di follia collettiva, di libertà senza freni, che livellava, anzi ribaltava, almeno per qualche tempo, i ceti sociali, ci si lasciava andare a grandi scorpacciate, come per fare provvista di quegli alimenti che non sarebbe stato più possibile consumare nei giorni di magro a venire. Nel famosissimo dipinto di Bruegel, «Carnevale lotta con Quaresima» (1559 circa), lui rubicondo e obeso, a cavallo di una botte, brandisce uno spiedo dove sono infilzati arrosti succulenti, mentre lei, contrita, pallida e smilza, solleva a fatica una pala su cui vi sono due aringhe secche.

Dietro il rubicondo Carnevale un uomo cammina tenendo in bilico sulla testa una specie di tavola rotonda apparecchiata con alcuni cibi tipici di Carnevale: pane bianco lievitato e cialde rettangolari che somigliano moltissimo a quelle sfoglie fritte e croccanti, oggi diffusissime, che chiamiamo con molti nomi secondo le zone: chiacchiere, cenci, frappe, bugie, gale, gasse, frisole o risole

Chiacchiere, castagnole, pignolate… quanti nomi per le frittelle!

I diversi nomi delle chiacchiere parlano della loro forma: i cenci toscani, nome registrato già nel XIII secolo, alludono al cencio, ritaglio di stoffa; i galani derivano dallo spagnolo gala che significa fiocco; le frappe o sfrappe derivano dal francese antico frape con il significato di striscia di stoffa smerlata, una specie di volant usato per guarnire abiti o tende. Altri nomi, come chiacchiere, bugie, intrigoni, ci parlano di facezie e perdigiorno che ben si inquadrano nel clima giocoso del carnevale.

Oltre alle semplici chiacchiere, leggere e croccanti, dalla superficie piena di bolle e cosparse di miele o zucchero a velo, ci sono anche frittelle lievitate, soffici e fragranti, vuote - e in questo caso sono dette castagnole - o farcite di creme o marmellata, anch’esse chiamate con tantissimi nomi locali. Celebri e molto diffuse sono le brighelle, sorta di bignè fritti farciti di crema chantilly, ma anche di crema alla vaniglia o al limone.

Altra differenza sostanziale sono i tempi di lievitazione che in alcuni tipi di frittelle è istantanea, in altre a lenta o doppia, conferendo diverse consistenza, croccantezza o sofficità.

Discorso a parte meriterebbero altri dolci di carnevale, come i tortelli, i turtlitt, come quelli piacentini o i ravioli dolci, come i celebri rufioi di Costeggiola, tipici di Verona, e ancora i fravioli siciliani, i culingionis de mendula sardi: sono fritti ma tecnicamente non proprio frittelle. Per questo motivo ci concentreremo proprio su quest’ultime, con qualche concessione quando proprio non è possibile una classificazione più precisa, come ad esempio nel caso delle diverse pignolate, struffoli, porcedduzzi dell’Italia meridionale o dei pinos sardi che sono in effetti delle «costruzioni» formate da minuscole frittelle.

Le origini antiche delle frittelle di carnevale

Le frittelle hanno origini molto antiche. Con i nomi di frictilia e frictilla, citate da Plinio e Seneca, si intendevano proprio le frittelle, distribuite per le strade durante le feste dei Saturnalia e dei Liberalia, poi assorbite dalla tradizione del carnevale medievale. Alcune ricette dell’antica Roma tramandate dalle fonti sembrano poi lasciare intravvedere proprio le antesignane delle frittelle di carnevale.Intorno al 160 a. C., Catone nel suo De agri cultura (LXXIII) così descrive i globi, globos: «Mescola insieme cacio e farina in quantità uguale. Poi fa’ i globi della grandezza che vuoi. Buttali nel grasso bollente in una padella di rame. Cuocili uno o due per volta e rivoltali spesso con due palette; una volta cotti, levali, ungili di miele, spolverali di papavero e così servili». Non sembrano forse le castagnole di ricotta laziali e gli arrubiolus?

Lo vedremo tra poco. Inequivocabile è però la sua ricetta dell’encytum (frittella) dove l’impasto dei globi è versato nello strutto bollente attraverso un imbuto largo: «Darai ad esso la forma di spirale, alla perfezione. Lo rigirerai con due palette e lo tirerai su. Come i globi, lo spalmerai di miele e lo farai colorare quando non è troppo caldo. Li servirai con miele o con vino melato» (LXXIX). Almeno nel procedimento sembra che gli strauben del Trentino Alto Adige e le zeppole sarde siano suoi eredi. Nel De re coquinaria, Apicio ci fornisce due ricette che sembrano anch’esse rimandare alle nostre frittelle. La prima è molto semplice e riutilizza del pane avanzato: «Altri dolci: spezza del pane di siligine (farina bianca) cui avrai tolto la corteccia e fanne grandi pezzi. Bagna col latte, friggi nell'olio, rinvoltali nel miele e porta in tavola» (VII, 13, 3).

«Prendere del fior di farina e cuocerla in acqua calda, in modo da farne un composto molto solido, poi spianarla su un piatto di terracotta. Quando si sarà raffreddata, tagliarla alla maniera dei dolci e friggerla in olio di ottima qualità. Toglierla, irrorarla con miele, pepare e servire. Il risultato sarà migliore se si userà del latte invece dell’acqua» (VII, 13, 6). A parte l’uso contrastante del miele e con il pepe, tipico nel gusto dell’antica Roma, sembra proprio che in questa ricetta sia descritta quella delle chiacchiere e forse più in particolare degli scroccafusi marchigiani, che prima della frittura vengono lessati.

Le frittelle moderne prendono forma e gusto: le frittole veneziane

Alla fine del XIII secolo, Giambonino da Cremona traduce un più antico libro di ricette arabe nel suo De liber de ferculis, dove vi si trova la ricetta di frittelle che presto sono adottate a Venezia e si diffondono diventando celebri. Sono le fritole o fritoe, proprio uno Street Food, vendute per strada e offerte ai passanti infilate in un bastoncino, come si può vedere in un dipinto di Pietro Longhi del 1750 circa. Questi dolci si trovavano anche nelle malvasie, botteghe che vendevano vino e appunto la malvasia, un liquore molto adatto ad accompagnare questi dolci fritti.

Regine del celebre Carnevale veneziano, le frittole divennero popolari a tal punto da diventare «Dolce nazionale dello Stato veneto». Bartolomeo Scappi, cuoco di papa Pio IV, fornisce la ricetta ufficiale delle frittelle veneziane nella sua Opera del 1570. Come scrive Carlo Goldoni in una sua commedia, Il Campiello, il fritolero esercitava una vera e propria professione e nella Serenissima era regolata da una corporazione che si riservava l’esclusiva ed era tramandata di padre in figlio.

Le frittelle di Carnevale in Italia

Come sempre il nostro Paese vanta tradizioni e sapori diversi da una località all’altra. Non fanno eccezione le frittelle che pur nella loro semplicità di esecuzione vantano caratteristiche e nomi diversi.

Veneto

Abbiamo già parlato delle famose frittelle veneziane. E in loro onore partiamo proprio da questa zona. Ma quali sono le loro caratteristiche? Le frittole cambiano da zona a zona anche nello stesso Veneto, ma in generale hanno la forma di ciambelle composte da farina, zucchero, uova, latte e rum, uvetta o pinoli, ricoperte da zucchero semolato. Quest’ultimo non è un particolare di poco conto e trova precise radici storiche: l’importazione dello zucchero lo rendeva molto costoso, ma Venezia godeva di canali privilegiati e il rifornimento arrivava da Candia, nell’isola di Creta dove si coltivava la canna da zucchero.
Accanto alle castagnole locali, i cròstoli o galani sono in tutto simili alle «solite» chiacchiere.

Friuli Venezia Giulia

Nel Friuli le frittelle sono simili alle venete: castagnole, cròstoli (chiacchiere), frittelle.

Trentino Alto Adige

Oltre alle chiacchiere, anche qui chiamate cròstoli, per carnevale si preparano i tradizionali dolci austriaci, i krapfen o berliner, bomboloni fritti di pasta lievitata farciti con marmellata di albicocche e cosparsi di zucchero. E non può mancare il frutto più tipico del Trentino impiegato per le Apfelküchle, le frittelle di mele. Sono dolci semplicissimi dove le fette vengono prima macerate nel limone, nella grappa o altro liquore e quindi immerse in una pastella a base di farina, poi cosparse di zucchero. Infine ecco le croccanti frittelle tirolesi, le strauben, chiamate anche furtaia, straboi o stromboi, lunghissimi nastri dorati, ottenuti calando la pasta nell’olio bollente attraverso degli imbuti a formare forme contorte. Si accompagnano a marmellate di bosco o di mirtillo rosso.

Lombardia

In questa regione i dolci di carnevale sono diversi e non solo fritti. Per quello che riguarda le frittelle, troviamo i tortelli, o turtej, pallotte dolci lievitate, farcite con crema pasticcera o cioccolato. Una variante più ricca è quella dei làciàditt, che aggiungono nell’impasto cubetti di mela, mentre a Pavia contengono uva sultanina e sono detti sfarsò. Le chiacchiere qui sono dette… chiacchiere!

Piemonte

Anche in questa regione appaiono dolci tradizionali di carnevale sia fritti che al forno. Oltre alle chiacchiere, qui chiamate bugie, i friciò o friceu sono morbidissime frittelle dolci con l’uvetta. Piccole e tonde, profumate intensamente dalla scorza di limone, poi spolverate con lo zucchero, sono molto veloci da preparare perché a lievitazione istantanea. Rispetto ai friceu liguri o alle zeppole del sud Italia, le diverse proporzioni degli ingredienti, soprattutto la quantità di uova, danno corpo a un composto molto fluido che va lavorato con due cucchiai e fritto con attenzione per evitare che la forma si appiattisca o si formino antiestetici peduncoli.

Liguria

In Liguria tra i dolci più diffusi troviamo i crostoli (chiacchiere) che a Genova e a Imperia sono chiamate bugie e i friceu simili alle zeppole campane e altre frittelle lievitate tonde.

Emilia Romagna

In una regione dove l’allevamento del maiale vanta una millenaria tradizione, non possono mancare i fritti e in particolare le frittelle dolci. Le chiacchiere che sono dette sfrappole e rosoni a Bologna, Parma, Modena e in Romagna. Sprelle a Piacenza, intrigoni a Reggio Emilia e cròstoli a Ferrara. Inoltre troviamo castagnole e frittelle di riso ma anche lasagnette, ovvero delle tagliatelle di pasta fresca profumate da scorza d’arancia o limone che dopo la frittura sono cosparse di zucchero a velo.

Toscana

In Toscana le chiacchiere sono chiamati cenci. Niente di nuovo, a parte il nome, se la ricetta non fosse stata codificata dall’Artusi che ha riunito sotto questo nome toscano tutte le altre varianti regionali. I cenci sono chiamati anche crogetti e lattughe. Oltre alle castagnole ecco le frittelle di San Giuseppe tradizionali del 19 marzo: palline irregolari cosparse di zucchero, ma con un diverso ingrediente principale: sono fatte principalmente di riso cotto nel latte e per questo sono conosciute anche come frittelle di riso. Lungo la costa settentrionale della Toscana, i frati fritti e i bomboloni sono ormai diventati popolare Street Food da consumarsi soprattutto d’estate sulla spiaggia, ma certo durante il celebre Carnevale di Viareggio il profumo invitante del fritto invade le strade.

Marche

Le chiacchiere qui son dette sfrappe e appaiono sulle tavole di carnevale insieme alle castagnole e ai scroccafusi o scrocca fuse, frittelle di pasta dolce a lievitazione istantanea, aromatizzate con cannella e scorza di limone. Particolarità è che le frittelle sono prima lessate e tagliate a croce, poi fritte, spolverate di zucchero e spruzzate di mistrà, un liquore speziato tipico dell’Italia centrale, o di alchermes. I datteri sono tipici di Ancona, girelle dolci fritte di pasta lievitata. Gli arancini sono aromatizzati con zeste (scorze) d’arancia, i limoncini con zeste di limone. Dopo la frittura niente zucchero ma una colata di miele. Ed ecco ancora ciambelline fritte a base di patate rosse o farinose, morbide, saporite e profumate di arancia, dopo la frittura cosparse di zucchero semolato.

Umbria

In questa piccola regione le chiacchiere sono dette frappe e le troviamo insieme alle castagnole e alle frittelle di San Giuseppe.

Lazio

Tipici del Lazio sono le castagnole, farcite di ricotta o crema pasticcera oppure presentate nella variante tipica della ricotta mescolata direttamente all’impasto che ci fa credere che tale ricetta derivi proprio dagli antichi globos di Catone.

Abruzzo

In questa regione il tipico dolce di carnevale è la cicerchiata, un anello formato da palline fatte con un impasto di farina, uova, zucchero e olio. La loro forma ricorda appunto le cicerchie, antichi legumi molto coltivati in Abruzzo. Dopo la frittura queste palline vengono composte a forma di ciambella e ricoperte con miele, mandorle e confettini colorati. Le cioffe sono le variante delle chiacchiere tradizionali.

Molise

Le scorpelle scarpelle o scroppell, sono frittelline lievitate dal caratteristico aroma di cannella. Si preparano con farina, patate, uova, zucchero, cannella e lievito naturale o di birra, olio d'oliva o strutto e hanno un buon sapore rustico e aromatico. Sono dolci che necessitano di una lunga lievitazione, serviti cosparsi di zucchero. Le rosacatarre sono roselline di pasta croccante fritte, ottenute ritagliando strisce di pasta fresca con la rotella dentellata, arrotolate su loro stesse a forma appunto di fiore, poi fritte e ricoperte di miele. Con l’impasto delle rosacatarre si realizzano anche i caragnoli, dolci anch’essi fritti e cosparsi di miele caldo. Hanno la forma di un’elica che si ottiene arrotolando i bigoli, grossi spaghetti di pasta intorno ad un bastoncino.

Campania

CampaniaLe chiacchiere napoletane sono dette pampuglie (trucioli di legno) e si accompagnano ad altri dolci fritti della tradizione, come gli struffoli, palline di pasta frolla ricche di uova, burro e zucchero e ricoperte di miele, scorze d'arancia, cedro e zucca candita. Le celebri zeppole sono ciambelle di pasta lievitata, fritte e passate nello zucchero, rese particolarmente soffici dal burro e dal latte dell’impasto. In alcune varianti ci sono le patate. L’aroma dominante è la scorza di limone. Con il nome di zeppole si indicano anche altre frittelle di pasta crisciuta (lievitata), con impasto simile ma più piccoli e di forma sferica, simili ai turtej lombardi. Le graffe, diffuse in tutto il meridione d’Italia, sono ciambelle fritte a base di patate che nel nome tradiscono la derivazione dai krapfen austriaci, conosciuti in Campania durante la dominazione austriaca nel XVIII secolo.

Basilicata

Le chiacchiere nella Basilicata sono chiamate frappe, ma hanno la particolarità di essere accompagnate da una crema di sanguinaccio, un dolce antico a base di sangue di maiale, cioccolato o cacao, mosto cotto e diversi altri ingredienti e aromi, cotto a fiamma bassa.

Puglia

Simili alle rosachitarre molisane, le cartellate, carteddhrate nel Salento, tipiche anche delle feste di Natale, sono dolcetti croccanti, a forma di corona dai bordi seghettati, fatti con pasta matta al vino. Una volta fritte o cotte al forno si immergono nel vincotto o mosto di fichi, oppure si cospargono di miele e mandorle. I porcedduzzi, chiamati anche purciadduzzi o purceddhruzzi, sono dei dolcetti fritti e ricoperti di miele, tipici soprattutto del Salento.

Calabria

I nacatuli calabresi sono frittelle di carnevale morbide a lievitazione istantanea, Dall’impasto di farina, uova, burro, zucchero, olio d’oliva, scorza d'arancia e limone si ricavano grossi spaghetti che vengono arrotolati su se stessi a forma di ruota. Anche qui, come in Sicilia, si prepara la pignolata ma con una variante particolare: il miele cotto di fichi.

Sicilia

Accanto alle onnipresenti chiacchiere, la Sicilia conta molte varietà di dolci di carnevale e in particolare di frittelle, come le crespelle, crispeddi o vastunedde, ma anche zeppole di San Giuseppe, particolari frittelle di riso cotto nel latte. Dopo una lenta lievitazione, la pasta viene modellata a forma di cilindretti lunghi, poi decorate con cannella, zucchero a velo o semolato o miele. Gli sfinci sono la versione siciliana delle graffe con patate: ciambelle di pasta lievitata al profumo d’arancia, cosparse di zucchero semolato. Le crispelle o crispeddi o vastunedde, ma anche zeppole di San Giuseppe, sono frittelle di riso cotto nel latte a forma di cilindro piccolo e lungo, ottenuto da un impasto a lunga lievitazione che una volta fritti sono decorate con cannella, zucchero a velo o semolato, miele.

La pignoccata, chiamata anche pignolata o mpagnuccata, è tipico del carnevale siciliano e calabrese. È formato da palline fritte poi disposte creando la caratteristica forma a pigna e ricoperte con miele e una spolverata di cannella, oppure con glassa al limone o cioccolata e infine zuccherini colorati. Le crispelle o crispeddi o vastunedde, ma anche zeppole di San Giuseppe, sono frittelle di riso cotto nel latte a forma di cilindro piccolo e lungo, ottenuto da un impasto a lunga lievitazione che una volta fritti sono decorate con cannella, zucchero a velo o semolato, miele.La pignoccata, chiamata anche pignolata o mpagnuccata, è tipico del carnevale siciliano e calabrese. È formato da palline fritte poi disposte creando la caratteristica forma a pigna e ricoperte con miele e una spolverata di cannella, oppure con glassa al limone o cioccolata e infine zuccherini colorati.

Sardegna

La Sardegna, anche a causa delle tante e diverse feste di carnevale disseminate lungo l’isola, vanta una incredibile varietà di frittelle consumate tradizionalmente durante il martedì e il giovedì grasso ma non solo. La variante sarda delle chiacchiere sono le meraviglias, tagliate con la rotella seghettata (sa serretta o rodedda). L'impasto è la tradizionale pasta violata a base di semola di grano duro, strutto (ozzu porchinu, oggiu prohinu o ozzu polhinu) e una spruzzata di acquavite, talvolta con l’aggiunta di un uovo.

Simili alle chiacchiere ma dalle forme fantasiose di fiori, ruote o altri motivi tradizionali, fatte anch’esse con la pasta violata sono le origliettas, lorighittas, montogadas, fritte e immerse nel miele. Un tempo la frittura era fatta non solo nello strutto, oggi più spesso sostituito dall’olio d’oliva, ma anche nel s'ozu casu, il grasso ottenuto dalla preparazione del formaggio. Le Zeppole o zippole nelle varianti locali del nome thippulas, sippulas, frisgioli longhi, frisciole o frisjoli, sono frittelle di pasta lievitata aromatizzata da scorza d’arancia, zafferano e filu 'e ferru o anice, servite ben calde cosparse di zucchero semolato a forma di ciambelle o come lunghi e soffici tubuli arrotolati, ottenuti facendo calare l’impasto nell’olio bollente attraverso un imbuto, proprio come nella preparazione degli strauben altoatesini.

I fatti fritti, in sardo parafrittus o frati fritti, sono ciambelle ricoperte di zucchero, molto morbide perché l’impasto contiene tradizionalmente strutto - oggi spesso burro - ed è sottoposto a doppia lievitazione. Il nome di frati si riscontra anche in Toscana e pare alluda al colore bruno del saio dei frati o alla loro chierica. Simili per impasto alle zeppole e ai parafrittus, gli uvusones o vuvusones, diffusi nel centro dell’isola, sono palline soffici di pasta lievitata. Dopo la frittura, vengono farciti con miele e acquavite sarda. Tipiche di alcuni paesi della zona di Ottana, come Sarule e Ollolai, le gatzas, gathas o cattas sono frittelle di pasta lievitata simile a quella del pane e oltre che salate si prestano a diventare dolci con una spolverata di zucchero. A base di grano duro, si preparano con semola rimacinata o semolato, e talvolta con patate, più acqua, pasta madre/lievito di birra e strutto, senza uova.

Tipici del nord della Sardegna e della Gallura, a metà tra le frittelle e i biscotti, troviamo gli acciuleddi, noti anche come azzuleddhi, mangadagas, trizzas a base di pasta violata modellata a forma di treccine croccanti, fritte e poi ricoperte da miele caldo. L’impasto è aromatizzato da diversi ingredienti, come la scorza grattugiata, il succo d’arancia o l’acquavite (talvolta sostituito dall’anice). La pasta è modellata in tubuli che sono poi intrecciati e fritti.

Gli arrubiolus o orrubiolos, rujolos o brugnolus, turonzos, bubusones de regottu sono semplici frittelle di ricotta a forma di palline ricoperte di zucchero a velo o miele. L’impasto non è lievitato e generalmente contiene ricotta, zucchero, farina e scorza di limone o arancia. C’è anche la versione che prevede l’utilizzo di uova, zafferano e un po’ di acquavite, oppure formaggio fresco anziché ricotta. In questa specialità sembra di riconoscere i globos latini che già abbiamo incontrato nelle castagnole laziali. Il loro nome deriva dal sardo arrubio che significa rosso, dovuto al colore assunto dopo la frittura.

Infine i pinos, chiamati secondo le zone opinus, pinu tesu, cuffittura agreste, menduleddas, pistocheddus o pirichittus de Santu Briai, composti da tocchetti di pasta legati da miele aromatizzato o caramello, decorati con palline dolci colorate (nonpariglia o diavoletti) a costruire una pigna, e da qui il nome, o altre forme più schiacciate.


Maria Milvia Morciano
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Archeologa e storica dell’arte, sono dottore di ricerca, specializzata in archeologia e autrice di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative. Sono una esploratrice bulimica di luoghi e biblioteche, mentre con il cibo ho un rapporto sereno e convinta che sia la chiave per capire il mondo e le persone. Il mio motto è: dimmi come mangi e ti dirò chi sei.
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Archeologa e storica dell’arte, sono dottore di ricerca, specializzata in archeologia e autrice di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative. Sono una esploratrice bulimica di luoghi e biblioteche, mentre con il cibo ho un rapporto sereno e convinta che sia la chiave per capire il mondo e le persone. Il mio motto è: dimmi come mangi e ti dirò chi sei.
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