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Cosa sono i “nurdles” e perché sono i rifiuti più tossici per gli oceani

Cosa sono i “nurdles” e perché sono i rifiuti più tossici per gli oceani

I “nurdles” stanno invadendo i nostri oceani e, mentre la pericolosità di questi frammenti di plastica viene sottovalutata, gli incidenti si susseguono.

I cosiddetti nurdles sono ormai al centro delle preoccupazioni degli scienziati. Questi minuscoli pezzi di plastica, protagonisti di alcuni recenti disastri ambientali, stanno invadendo i nostri oceani. Le informazioni sulla loro pericolosità non sono ancora complete, ma è evidente che essa non vada sottovalutata. Ora un cambio di norme è necessario e i primi a trarne giovamento potrebbero essere gli uomini.

nurdles

Cosa sono i nurdles?

Il termine nurdles sta diventando tristemente noto. Questi sono granuli, della dimensione di lenticchie, definibili come pellet di plastica pre-produzione. Si tratta insomma della base di ogni oggetto in plastica e durante il loro trasporto alle industrie competenti le fuoriuscite sono purtroppo frequenti. Animali marini e uccelli li scambiano spesso per cibo e ne ingeriscono grandi quantità. Dispersi nell’ambiente possono anche raggiungere grandi profondità, si decompongono solo in periodi lunghissimi e si degradano in nanoplastiche. I nurdles costituiscono, poi un rischio anche per l’uomo. Sulla loro superficie si accumulano, infatti, sostanze inquinanti e persino batteri come E. Coli e colera, con cui chiunque può inavvertitamente entrare a contatto.

I nurdles negli oceani

I nurdles rappresentano una minaccia per la salute degli ecosistemi. Ogni anno ne finiscono negli oceani 230.000 tonnellate. Ciò li rende la seconda fonte di microinquinanti più diffusa in tali ambienti dopo la polvere dei pneumatici. Oggi siamo abituati ad associare i disastri ambientali al petrolio ma non trascurare i nurdles è d’obbligo. Nel 2019 342 container di pellet sono stati sversati nel Mare del Nord e nel 2020 si sono verificati due importanti fuoriuscite, una nella stessa zona e una in Sudafrica. L’affondamento della nave X-Press Pearl, a maggio a largo dello Sri Lanka è stato poi l’evento peggiore. 87 container di nurdles sono finiti nell’oceano arrivando a minacciare le coste di Indonesia, Malesia e Somalia.

I rifiuti sottovalutati

Intervenire per contenere i danni da nurdles è oggi una priorità. Nel 1993 la US Environmental Protection Agency ha pubblicato un primo report sull’importanza di limitarne le fuoriuscite, ma in 30 anni poco è cambiato. Le piccole palline di plastica non sono, infatti, ancora classificate come “rifiuti pericolosi” dalla International Maritime Organization e ciò rende il loro trasporto meno sicuro. Gli ambientalisti stanno ora spingendo per un cambio di norme. L’obiettivo è che tali merci vengano spostate in imballaggi più robusti, con etichettatura adeguata e che vengano sottoposti a protocolli di stoccaggio e manipolazione più rigidi.

La plastica sta invadendo tutto il pianeta e i numeri relativi ai nurdles negli oceani non sono altro che un promemoria di una situazione drammatica. Gli sversamenti di tali sostanze rendono impossibile tanto il prosperare degli ecosistemi, quanto la vita delle comunità a essi legati. Riempire i grandi oceani con questi minuscoli granelli di plastica potrebbe apparire un’impresa titanica. Purtroppo l’umanità si è dimostrata capace di questo e altro.


Alice Facchini
Alice Facchini
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Laureata in Filosofia, credo fermamente che ogni sfaccettatura del sapere umano meriti di essere inseguita. Amo la lettura, gli animali e la natura e penso che solo continuando a farsi domande sia possibile mantenere uno sguardo vigile sul mondo.
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Laureata in Filosofia, credo fermamente che ogni sfaccettatura del sapere umano meriti di essere inseguita. Amo la lettura, gli animali e la natura e penso che solo continuando a farsi domande sia possibile mantenere uno sguardo vigile sul mondo.
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