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Plastica: dove va a finire quella che entra negli oceani?

Plastica: dove va a finire quella che entra negli oceani?

Capire come vengono trasportate le microplastiche dalle correnti può aiutare a contrastare l’inquinamento. Ma la ricerca è molto difficile

Capire dove le correnti dei mari trasportano i rifiuti di plastica più grandi non è una sfida del tutto nuova. Come è noto, molti di questi si accumulano in vortici al centro degli oceani, gigantesche isole larghe anche mille chilometri come il Pacific Trash Vortex. Comprendere, invece, che fine fanno le microplastiche – le particelle che vanno dai cinque millimetri alle dimensioni di un batterio – è un rompicapo ancora tutto da risolvere. Ma, se decifrato, potrebbe darci indicazioni utili su come contrastare questo tipo di inquinamento. Un recente studio, in pubblicazione sul Journal of Fluid Mechanics, ha recentemente scoperto che le particelle più visibili potrebbero essere trasportate dalle onde più velocemente.

Capire come vengono trasportate le microplastiche dalle correnti degli oceani può aiutare a contrastare l’inquinamento

Le difficoltà della ricerche

Il condizionale è d’obbligo perché ottenere certezze in questo ancora giovane ambito di ricerca è molto difficile. Le variabili da tenere in considerazione sono infatti numerose. Le microplastiche – frammenti che si staccano dai rifiuti plastici più grossi per effetto delle onde o dei raggi UV del sole – hanno destini molto diversi tra loro. Possono essere mangiate dai pesci che finiscono sui nostri piatti. Le più piccole possono essere ingerite anche dai plankton, animali microscopici di cui si nutrono le balene.

In altre situazioni, subiscono il “biofouling” (incrostazione biologica) che porta dei microrganismi a crescere sulla loro superficie e a farle affondare. I fiumi fangosi, come il Rio delle Amazzoni, contengono ad esempio tipi di argilla che vanno a depositarsi immediatamente sul fondo non appena, in prossimità della foce, entrano in contatto con l’acqua salata dell’oceano. Questa dinamica porta anche le microplastiche in profondità. Ma le dimensioni di questi fenomeni sono ancora difficili da quantificare.

Le scoperte

In questo quadro complesso, sono stati fatti dei piccoli passi avanti. Il citato studio, al momento in fase di revisione, spiega che le microplastiche potrebbero essere soggette allo stesso effetto che sperimentano i passeggeri di una barca che naviga in acque agitate: si ha la sensazione di rimanere fermi sempre nello stesso punto, ma in realtà l’imbarcazione procede, molto lentamente, nel suo viaggio. Il fenomeno si chiama Stokes drift e potrebbe riguardare anche i frammenti di plastica.

Nello specifico, i più grandi. Mentre infatti le particelle più piccole di 0,1 millimetri si muovono tra le onde con la stessa fluidità che avremmo noi immersi nel miele, le microplastiche di dimensioni superiori a un millimetro risentono meno della viscosità dell’acqua salata. Cosa significa? In poche parole che ogni onda darebbe loro una piccola spinta in più portandole nella sua direzione. Di conseguenza, le microplastiche più grandi sarebbero trascinate in mare aperto più velocemente, rendendo meno probabile il loro accumulo nei punti dove la biodiversità è più ricca, ovvero in prossimità delle coste.

La forma incide sui movimenti

Questo spiegherebbe perché la plastica si trova anche nelle acque artiche e antartiche. Anche altri studi in laboratorio hanno dimostrato che i movimenti in mare delle microplastiche sono influenzati dalle loro forme. La ricerca citata si è concentrata sulle microplastiche sferiche. Rimangono molte altre forme da analizzare. Solo così potremmo capire dove vanno a finire le particelle che si staccano dai nostri maglioni sintetici e dagli altri oggetti che usiamo quotidianamente.


Marco Rizza
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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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