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Archeoplastica, il museo virtuale che espone vecchi rifiuti restituiti dal mare

Archeoplastica, il museo virtuale che espone vecchi rifiuti restituiti dal mare

Enzo Suma, fondatore del museo Archeoplastica, racconta com’è nata la mostra sui più antichi rifiuti ritrovati sulle spiagge

Galeotta fu una vecchia bomboletta di un prodotto abbronzante raccolta sulla spiaggia. Così vecchia da avere ancora il prezzo in lire italiane. È da questo ritrovamento che a Enzo Suma, 41enne guida naturalistica di Ostuni (Brindisi), è venuta l’idea di Archeoplastica, un museo virtuale che cataloga e mostra al pubblico i rifiuti di plastica (e non solo) più antichi che i mari continuano a depositare sulle coste italiane.

Flaconi di detersivo degli anni ’60, una lattina di Coca Cola con il logo dei Mondiali di calcio del ’78, una confezione di crema anti-brufoli degli anni ’80 e molto altro. Scopo del progetto è sensibilizzare le persone sulla precaria salute dell’ambiente marino mostrando loro l’inquinamento che l’uomo ha prodotto negli anni.

Archeoplastica, il museo virtuale che espone vecchi rifiuti restituiti dal mare
Foto: @Archeoplastica

Archeoplastica, il museo virtuale che mostra i rifiuti del passato

La nascita del museo Archeoplastica l’ha raccontata lo stesso Suma in un’intervista a Innaturale. Partendo dalla sua storia: “Ho studiato scienze ambientali. Terminata l’università a Venezia, sono tornato in Puglia, dove ho iniziato a collaborare con un’area marina protetta che stava nascendo. Così, ho imparato il mestiere della guida naturalistica. Mi sono sempre impegnato per la tutela delle tartarughe e soprattutto del fratino. Da diversi anni mi occupo di questo volatile che nidifica sulle coste pugliesi”.

È tra il 2017 e il 2019 che inizia a prendere forma Archeoplastica. “Siccome il mare era già una mia passione, ho cominciato a organizzare iniziative di pulizia delle spiagge. Ho sempre avuto a che fare con il mare e con la plastica negli ultimi 12 anni”. E proprio durante uno di questi clean-up sulla costa di Carovigno che ha l’“incontro” che dà il la al progetto: “L’idea è nata nel momento in cui ho raccolto un contenitore di spuma abbronzante di marca ‘Ambra Solare’”.

Quando mi è capitato quel rifiuto – prosegue Suma – la cosa che mi ha incuriosito è stata il prezzo: era in lire. Il marchio era conosciuto e quindi è stato più facile trovare informazioni del passato. Facendo delle ricerche ho scoperto che l’oggetto risaliva al periodo tra la fine degli anni ’60 e l'inizio degli anni ‘70”. E’ stato il primo di una lunga serie di quelli che chiama “reperti”: “Successivamente, in pochissimi giorni, trovai altri due prodotti molto datati, risalenti a una cinquantina di anni fa. Così ho pensato: ‘se mi impegno posso mettere da parte un po’ di questi rifiuti e mettere in piedi una mostra”.

Archeoplastica, il museo virtuale che espone vecchi rifiuti restituiti dal mare
Foto: @Archeoplastica

La nascita del museo Archeoplastica e le mostre

Il progetto Archeoplastica è stato ufficializzato nel febbraio del 2021 dopo un grande lavoro preliminare: la raccolta di circa 200 rifiuti datati, il lancio del crowfunding per creare il sito ufficiale che "ospita" l'esposizione virtuale e per realizzare la fotogrammetria dei reperti in modo tale da mostrarli anche in 3D. “Mi è venuto in mente notando che i siti web archeologici permettono di vedere gli oggetti storici da qualsiasi angolazione”.

Fondi sono stati necessari anche per l’acquisto delle teche. Fin da subito, infatti, il desiderio era quello di organizzare anche delle mostre itineranti. Dopo le prime iniziative in alcune scuole della provincia di Brindisi, sono arrivate le esposizioni ad eventi che vedevano coinvolto niente meno che National Geographic: il festival della sostenibilità ambientale “Io Scelgo Il Pianeta” e la Mostra “Planet or Plastic?” a Bari e la mostra “Oceani Ultima Frontiera” al Palazzo Blu di Pisa.

Archeoplastica, il museo virtuale che espone vecchi rifiuti restituiti dal mare
Foto: @Archeoplastica

Il lavoro di ricerca

È nato così un portale che divide gli oggetti ritrovati per decennio di provenienza. Ogni reperto è accompagnato da una descrizione che ne riassume storia e origine. Fondamentale per questo lavoro sono i social network, grazie ai quali si è creata una squadra di raccoglitori e “archeologi del rifiuto” sparsi in tutta Italia che aiutano Suma a risolvere i misteri. Come quello del “clown greco” (nella foto qui sopra), una confezione di miele che riproduceva una maschera in stile Pierrot. “Una ragazza si è fissata ed è andata alla ricerca di tutte le aziende produttrici di miele in Grecia”. Fondamentali per le indagini sono soprattutto le pubblicità d’epoca che circolano molto sui siti di e-commerce grazie alla passione dei numerosi collezionisti.

Anche molti “veri” archeologi, racconta Suma, si sono interessati al progetto “non solo per il lavoro di ricerca sull’oggetto in sé - racconta la guida naturalitica -, ma anche per il metodo scientifico utilizzato per ricostruire la storia dell’oggetto andando a fare ricerche su qualsiasi dettaglio, in particolare sulla grafica. Ad esempio, la capacità indicata in millilitri piuttosto che in centimetri cubici. Quando la troviamo espressa in un modo o nell’altro, possiamo escludere determinati periodi”.

Archeoplastica, il museo virtuale che espone vecchi rifiuti restituiti dal mare
Foto: @Archeoplastica

L’effetto nostalgia per sensibilizzare

Per sensibilizzare le persone sul tema dell’inquinamento dei mari, l’effetto amarcord che suscitano gli oggetti con loghi e brand vecchi, a volte scomparsi, ha un ruolo importante. “Il sentimento di nostalgia è qualcosa che serve per attirare l’attenzione soprattutto tra le fasce più vecchie della popolazione e farle riflettere. Dopo questa sensazione, subentra l’effetto ‘pugno in faccia’ nel vedere un rifiuto restituito dal mare dopo così tanto tempo”, spiega Suma. E i più giovani? “I bambini spesso vedono gli oggetti come se fossero cose preistoriche. Molti reperti sono addirittura più vecchi dei loro nonni”.

Il futuro di Archeoplastica

Per il futuro Suma spera di espandere il progetto, allargando il raggio di ricerche di rifiuti antichi anche all’estero. Una buona vetrina di recente è stata una fotogallery pubblicata dal sito del giornale inglese The Guardian. Il lavoro, insomma, sembra destinato ad aumentare, ma l’entusiasmo di sicuro non manca a Suma. “Quando ripenso al passato, mi dico ‘chissà quanto materiale buono ho buttato via’. Ora gli oggetti li riconosco a vista. Potrei essere un professore in riconoscimento dei rifiuti”.


Marco Rizza
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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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