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Vista e linguaggio: le nostre parole possono modificare ciò che vediamo

Vista e linguaggio: le nostre parole possono modificare ciò che vediamo

È noto che la lingua che parliamo abbia un’influenza diretta sul modo in cui pensiamo, ma non solo! Uno studio cross-culturale sulla percezione svolto sugli Himba, una tribù del nord della Namibia, ha mostrato come il nostro linguaggio influenzi direttamente il modo in cui vediamo il mondo che ci circonda.

Il primato della vista

La vista è, tra i cinque sensi, quello al quale l’essere umano si affida maggiormente per comprendere il mondo che lo circonda. Basta riflettere per un istante sulla nostra routine per rendersi immediatamente conto di quanto sarebbe infinitamente più complicato, o addirittura impossibile, svolgere anche le più semplici attività della nostra quotidianità senza l’ausilio della vista. La fiducia assoluta che riponiamo nei nostri occhi è anche alla base della possibilità di comprenderci l’un l’altro: tutti concordiamo per esempio che una banana sia gialla o che il cielo sia azzurro, e ciò ci consente di muoverci e vivere in una realtà unica e condivisibile.

Il nostro occhio viene spesso paragonato a una macchina fotografica costantemente impegnata a catturare le immagini che ci circondano, tuttavia, per quanto questa similitudine sia molto azzeccata, può risultare fuorviante per la comprensione del «vedere». L’atto del vedere non deve essere considerato un processo passivo e fine a sè stesso, in cui meccanicamente raccogliamo informazioni dal mondo. È più corretto invece immaginarlo come un perfetto parallelismo tra l’immagine che acquisiamo e il significato che le attribuiamo, tra gli occhi e il linguaggio.

L’esperimento con gli Himba

L’esperimento nacque dall’ipotesi del Dott. Jules Davidoff, il quale prevedeva una possibile influenza della cultura di un popolo sulla modalità in cui questo percepiva i colori. Per dimostrarlo il ricercatore organizzò una spedizione in Namibia dove entrò in contatto con la tribù degli Himba. La scelta di lavorare con quest’ultimi fu determinata da una peculiarità della loro lingua nella categorizzazione dei colori: se in quella inglese tutti i colori possono essere suddivisi in undici categorie principali, nella lingua degli Himba queste categorie si riducono a cinque, accorpando alcune diverse - per un occidentale - tonalità cromatiche.

Davidoff e i suoi collaboratori sottoposero agli Himba delle immagini costituite da un insieme di quadrati colorati di verde in cui, in un primo caso uno solo differiva leggermente per tonalità dagli altri, mentre in un secondo caso uno solo risultava colorato di azzurro. Può sembrare complicata ma l’immagine qua sopra può chiarirvi l’esempio. La condizione sperimentale prevedeva che nell’immagine coi quadrati verdi, il colore del quadrato differente appartenesse a due diverse categorie della lingua Himba mentre nell’immagine col quadrato azzurro tutti i colori presenti appartenessero ad un’unica categoria linguistica, comprendente diverse sfumature di verde e alcune tonalità di blu.

Il potere del linguaggio

L’equipe di ricercatori rimase estasiata dal risultato. Chiedendo agli Himba di individuare nei due casi il quadrato di colore diverso, gli studiosi notarono una maggiore difficoltà e una più elevata quantità di tempo da parte dei membri della tribù per individuare il quadrato azzurro rispetto al quadrato con la leggera (ai nostri occhi) sfumatura di verde. Agli studiosi risultava invece quasi impossibile riconoscere tra i quadrati verdi quello diverso, mentre era un gioco da ragazzi individuare quello azzurro. Dando per assodato che non vi fossero differenze fisiologiche significative tra gli occhi degli Himba e quelli degli sperimentatori, le conclusioni emersero limpidamente: furono le sole differenze nel linguaggio a comportare una chiara distanza della percezione dei colori per le due culture.

Ciò che rende così affascinante questo studio è la sua implicazione logica. Quanto percepiamo non è univoco! Pur osservando uno stesso oggetto (o uno stesso colore) quello che di fatto vediamo non è la stessa cosa. Questo non dipende, come spesso si finisce per credere, da una differenza di punti di vista degli osservatori, ma anzi da una differenza propria dell’osservatore o più nello specifico del significato che esso associa all’oggetto che osserva. La realtà dunque non si trova là fuori, ma negli occhi di chi guarda o meglio nel suo linguaggio!

Fonti: Jules Davidoff , Julie Goldstein, Ian Tharp, Elley Wakui & Joel Fagot (2012) Perceptual and categorical judgements of colour similarity, Journal of Cognitive Psychology, 24:7, 871-892, DOI: 10.1080/20445911.2012.706603 - languagelog.ldc.upenn.edu


Fabrizio Inverardi
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Chitarrista, motociclista, da sempre appassionato di scienza, tecnica e natura. Sono laureato in Psicologia del Lavoro e della Comunicazione. Curioso per natura amo i viaggi, il buon vino e scoprire cose nuove. Da qualche anno nel settore del marketing digitale e della comunicazione.
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