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Il torrone di Cremona, tra miti e curiosità

Il torrone di Cremona, tra miti e curiosità

È presente in quasi tutta Italia con nomi e tipologie diverse, però sulla tavola del cenone di Natale o delle feste di fine anno, lui non può mancare. Stiamo parlando del torrone, uno dei dolci più famosi e apprezzati durante le festività natalizie.

È considerato un prodotto tradizionale di molte regioni italiane, tuttavia la città che per tradizione ne rivendica la paternità è Cremona. Non a caso, una delle famose «tre t» con la quale è nota: turòon, Turàs, Tugnàs; torrone, Torrazzo (il campanile del Duomo) e Tognazzi. Ne avevamo già parlato nell'articolo sui dolci tradizionali in Italia, questa volta però approfondiamo il discorso.

Un’origine sconosciuta

Eppure, nonostante artigiani ottocenteschi come Enea Sperlari e Secondo Vergani che resero famoso il dolce in tutto il mondo, non si sa quando e dove fu realmente ideato il torrone. La nebbia della leggenda offre la versione più cara ai cremonesi, quella delle nozze di Francesco Sforza con Bianca Maria Visconti il 26 ottobre 1441. Nella città in festa, fra i vari doni venne offerto agli Sposi un dolce fatto di zucchero e mandorle con la forma dell’alta torre della città, il Torrazzo. Da qui la comparsa e la nascita del «torrione».

Andando oltre il racconto, l’etimologia della parola è incerta. Due sono le radici linguistiche: dal latino torrere, l’azione del tostare e dallo spagnolo turròn, abbrustolito. Su quest'ultimo termine non mancano discussioni sulla derivazione araba, aprendo scenari impensabili. Infatti tra il 1100 e il 1150 Gherardo Cremonese, traducendo il De medicinis e cibis semplicibus, scritto dal medico di Cordova Abdul Mutarrif, trovò la descrizione del turun, una variazione della cubbaita o giuggiolena, dolce arabo fatto di miele e sesamo. Inoltre l'uso della mandorla nella ricetta, storicamente proveniente dalla Cina, giustificherebbe l'operato degli arabi i quali lo commercializzavano nel bacino del Mediterraneo, in Sicilia, in Spagna e a Cremona, porto fluviale strategico sul Po. La pista romana porta invece ad un esito diverso.

Il torrone di Cremona è già descritto in banchetti dell'epoca, nei quali si consumavano «squisiti dolci fatti con mandorle, miele e bianco d’uovo». Già nel 116 a.C. circa, Marco Terenzio Varrone il Reatino citava il gustoso Cuppedo: «Cupeto» è ancora oggi il nome del torrone in molte zone dell’Italia Meridionale. In vari dialetti italiani si registrano le voci simili cupeta, copeta, copata e coppetta, che identificano specialità simili al torrone o al croccante, prodotto a base di mandorle o nocciole legate da solo zucchero caramellato. Le varianti della cupeta e del torrone, infatti, sono tradizionali oltre che nella Bassa lombarda e nel Sannio, in Valtellina, in Piemonte, in Veneto, in Emilia Romagna, in Toscana, nelle Marche, in Lazio, in Abruzzo, in Molise, in Calabria, in Puglia e in Sardegna. Per non parlare della Sicilia, dove il croccante assume il nome di cubbaita. Anche se la presenza più antica si registra a Benevento.

Il torrone

Albume d’uovo montato a neve, miele, zucchero, vaniglia, mandorle e, voilà, la magia è fatta. Morbido o duro, bianco o ricoperto di cioccolato, il torrone di Cremona è che oggi Il torrone: un prodotto plastico e versatile per sua natura. Può assumere qualsiasi forma e non stupisce che se ne siano affermati diverse tipologie. Differente è il discorso che riguarda la durezza: il torrone nasce friabile, quindi duro. La sua rigidità può essere affrontata in due modi: addentandolo, se i denti sono degni del compito, oppure spezzandolo in schegge e succhiandolo come una caramella, che poi sarebbe la maniera ideale di degustarlo.

Siccome, però, la pazienza necessaria a questo tipo di fruizione ormai da decenni non fa più parte della nostra cultura (tanto è vero che le stesse caramelle sono ormai un genere piuttosto desueto), qualche pasticciere con un sicuro istinto del marketing ha pensato di inventare il torrone morbido, cioè una variante con un contenuto d’acqua superiore. Parlando di formati il più classico nasce da una sfoglia spianata a mano, protetta da due fogli di ostia e quindi divisa in porzioni attraverso tagli paralleli. Può raggiungere diverse dimensioni. Classico del Natale, arriva in tavola dopo pasti pantagruelici. È tradizionalmente compito del pater familias dividerlo in tocchi per tutti i commensali.

Fino alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso, il torrone veniva preparato con il metodo tradizionale, rimescolando e cuocendo gli ingredienti per 6-8 ore in grossi recipienti. La tipica friabilità si otteneva con la progressiva riduzione delle parti liquide, grazie a una lenta cottura. Oggi gli impianti industriali impiegano solo 20 minuti a produrre le stecche di torrone. Siamo stati allo stabilimento e abbiamo visitato tutta la catena produttiva dalla colatura dell’impasto fino al confezionamento. Dall’alto in un grande imbuto scende la pasta di torrone che viene stesa, in un movimento continuo, su un nastro trasportatore e, quindi, foderata con fogli di ostia. Poi, il composto si raffredda, in un percorso su rullo, lungo 40 metri circa. Il torrone viene poi tagliato in strisce e infine diviso in stecche che vengono impacchettate e preparate per la spedizione.


Jacopo Orlo
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Studente di Giornalismo, la mia passione è tutto ciò che riguarda il mondo dell'intrattenimento: cinema, fumetti, serie tv, videogiochi. Alla ricerca di cose nuove e stimolanti che possano essere condivise con chi nutre le mie stesse passioni.
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