Sabbia, la risorsa più sfruttata dopo l’acqua
Il report del Programma per l’ambiente dell’Onu (Unep) riporta che l’uomo estrae ogni anno 50 miliardi di tonnellate di sabbia e ghiaia. Una quantità di materiale con la quale si potrebbe costruire un muro alto 27 metri e largo altri 27 in grado di coprire l’intera circonferenza della Terra. L’estrazione viene effettuata con diverse modalità, dal dragaggio di laghi e fiumi alla frantumazione delle rocce, passando per le tradizionali miniere. Gli osservatori del settore sostengono che questa attività avviene attualmente a ritmi molto più intensi rispetto a quelli con cui la sabbia si forma naturalmente.
La domanda di sabbia è destinata a salire nel futuro prossimo visto che ci si aspetta che la popolazione mondiale raggiungerà i 10 miliardi di persone prima del 2050 e che il 70 percento di queste vivrà nelle città, che quindi si espanderanno. Alcune stime confermano già la tendenza: secondo il Global Aggregates Information Network, la produzione di aggregati minerali è cresciuta del 4,9 percento, dalle 42,2 miliardi di tonnellate del 2020 ai 44,3 miliardi di tonnellate del 2021.
L’impatto dell’estrazione di sabbia
L’alta domanda di sabbia provoca conseguenze sull’ambiente. L’estrazione è responsabile innanzitutto della perdita di biodiversità tra animali e piante: le ricerche dicono che oltre mille specie inserite nella “lista rossa” subiscono l’impatto dell’attività, ma in futuro potrebbero salire a 24mila.
Inoltre, aumenta il rischio di alluvioni, eliminando barriere naturali (come le dune) in grado di contenere inondazioni e tempeste, e crea problemi alle comunità che sopravvivono grazie alla pesca. La sabbia contribuisce anche ad aggravare la crisi climatica: il settore del cemento, materiale che si produce proprio grazie alla sabbia, rilascia molta Co2 in atmosfera. Tanto che se fosse un Paese, sarebbe il terzo produttore di emissioni al mondo.
La mancanza di monitoraggio
Nonostante questi i numeri importanti e le ripercussioni sull’ambiente, l’estrazione di sabbia non è sottoposta a un monitoraggio rigoroso alla pari di risorse come l’acqua, il petrolio o il gas. Per questo, il report Onu sottolinea la necessità di accendere un faro sull’attività e sulle catene di rifornimento, spesso caratterizzate anche da fenomeni illegali, così come di adottare misure per compensare la perdita di biodiversità. Senza dimenticare gli impatti di tipo economico e sociale.