Riscaldamento a legna, per la qualità dell’aria è peggio del previsto

Siamo abituati a considerare il riscaldamento a legna come un sistema quasi naturale per contrastare il freddo ma la verità è che esso peggiora la qualità dell’aria in modo significativo. Ciò è vero soprattutto nelle aree rurali e anche di più all’interno delle ampie vallate. La maggior parte delle persone che respirano le sostanze dannose generate dalla combustione ignora del tutto il problema e agire per limitare i danni appare prioritario.

Qualità dell’aria: quanto inquina il riscaldamento a legna?
Il riscaldamento a legna è una piaga per la qualità dell’aria. La combustione libera, infatti, nell’aria sostanze dannose per la salute umana. Tra queste spiccano le polveri sottili, PM 2.5, il nerofumo, o black carbon, e i composti organici volatili. Tali particelle sono in grado di penetrare in profondità nell’organismo umano, danneggiando tanto l’apparato respiratorio, quanto quello cardiovascolare.
Una moderna stufa produce in media 375 grammi di PM 2.5 per ogni gigajoule di riscaldamento, oltre a 465 g di composti organici volatili. A stufe e camini è ancora oggi collegabile il 50% del particolato fine presente nell’aria nel Vecchio Continente. Negli Stati Uniti la situazione appare persino peggiore. La problematica riguarda soprattutto le aree rurali, dove la combustione rimane la scelta più popolare.
Riscaldamento a legna: peggiora la qualità dell’aria più di quello a gas?
L’impatto del riscaldamento a legna sulla qualità dell’aria sembra più drammatico di molte delle alternative basate sui combustibili fossili. Uno studio del 2022 ha mostrato che le stufe di nuova generazione liberano nell’aria 450 volte più sostanze inquinanti degli impianti a gas e che, fino a pochi anni fa, il rapporto era di 1:1300. Il quadro può essere ulteriormente complicato dalla conformazione dei territori.
Nelle ampie vallate, dove i fenomeni di inversione termica sono frequenti, le particelle dannose liberate durante la combustione finiscono, infatti, per rimanere intrappolate nei pressi del suolo. Il caso di Retje, villaggio norvegese dalla tipica apparenza di luogo idilliaco montano, è esemplare. Qui per quasi la metà dell’inverno la concentrazione di particolato fine nell’aria rimane oltre le soglie definite sicure dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e raggiunge i livelli delle grandi città.
Riscaldamento a legna e qualità dell’aria: divieti e provvedimenti
L’impatto del riscaldamento a legna sulla qualità dell’aria è così significativo anche perché spesso non viene compreso. Durante lo studio condotto a Retje i ricercatori del Leibiniz Institute of Technology hanno indagato su quali fossero i pensieri della popolazione sulla questione. Hanno così scoperto che il 70% degli abitanti del villaggio era convinto di respirare aria di buona qualità. L’89% credeva anche che il fumo generato dalla combustione del legno non avesse alcun effetto sulla salute umana.
Secondo gli esperti è ora fondamentale che le autorità migliorino la consapevolezza sull’argomento e che siano presi provvedimenti coerenti. Gli scienziati sottolineano anche che i divieti, in vigore in varie zone del Vecchio Continente, soprattutto nelle aree cittadine, da soli non bastano. La transizione verso gli impianti basati su energie rinnovabili passa, infatti, anche dall’erogazione di incentivi.
In Europa il 20-30% della popolazione vive in aree rurali e respira, quindi, aria di qualità infima anche a causa del riscaldamento a legna. Gli impianti basati sulla combustione non rappresentano nemmeno una scelta green. Per alimentarli è necessario abbattere alberi. Il processo produce, poi, metano, un potente gas serra, mentre il black carbon, depositandosi sulla neve, ne favorisce lo scioglimento precoce.
