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Riciclo: lo studente che crea sgabelli con le mascherine anti-Coronavirus usate

Riciclo: lo studente che crea sgabelli con le mascherine anti-Coronavirus usate

Una volta fuso e raffreddato, il polipropilene degli strati filtranti diventa un materiale duro utilizzato per plasmare le parti di questi originali mobili

Basta guardare per terra, camminando per strada, per capire che le mascherine anti-Coronavirus si stanno diffondendo ovunque. Una soluzione per il loro riciclo sembra lontana. Ma qualche fonte di ispirazione comincia a saltare fuori qua e là. È il caso di Kim Ha-neul, studente sudcoreano di 23 anni. Nel tentativo di frenare l’inquinamento nella sua scuola, il ragazzo – che segue un corso di design del mobile – ha trovato il modo di trasformare la plastica dei dispositivi di protezione individuale monouso in originali sgabelli.

Uno studente sudcoreano ricicla le parti in polipropilene delle mascherine monouso creando sgabelli

Il riciclo della plastica

Il processo di economia circolare è più semplice di quanto si pensi. Kim smembra le mascherine che sono composte da uno strato filtrante in polipropilene, una plastica riciclabile. Una volta eliminate lo cordicine di cotone per fissare il dispositivo dietro alle orecchie e il ferretto metallico per farlo aderire al naso, lo studente dispone il materiale in uno stampo e, con una pistola termica, lo fa fondere a una temperatura di 300 C°.

Raffreddandosi, la plastica liquefatta si solidifica nuovamente prendendo la forma dello stampo. Sono nate così le gambe, la seduta e infine lo sgabello. Tutto assemblato senza l’uso di colle o resine. Non sevono nemmeno altri materiali: ci sono solo mascherine, circa 1.500 (250 per ogni gamba e 750 per la seduta). Gli sgabelli a tre gambe, ribattezzati “Stack and Stack”, hanno i colori delle mascherine (bianco, rosa, blu e nero, ma in alcuni casi sono mescolati tra di loro) e una curiosa superficie ruvida.

Un’idea di successo

Kim non sopportava l’idea di vedere così tanto materiale riciclabile finire in discarica. Così ha iniziato a raccogliere con i suoi amici le mascherine che utilizzavano. Ma non bastavano per creare qualcosa. Allora ha installato un bidone nella sua università, la Kaywon University of Art and Design, a sud di Seoul, per metterne assieme un numero più alto. In poco tempo ne ha ottenute circa 10mila. Un’altra tonnellata di dispositivi di protezione è arrivata invece da una fabbrica.

Trattandosi di rifiuti piuttosto delicati, soprattutto se vengono da soggetti positivi al Covid-19, lo studente ha adottato una precauzione: prima di maneggiarle per fonderle, le lascia per quattro giorni in un magazzino per abbassare il rischio di contagio. Il suo esperimento ha ricevuto l’approvazione dei suoi compagni di università.

Il 75% delle mascherine va nelle discariche e nei fiumi

Ogni mese vengano utilizzate circa 129 milioni di mascherine monouso nel mondo. L’Onu stima che il 75 percento di queste finisce nel discariche o nei corsi d’acqua. Ma il problema ambientale rimane in secondo piano rispetto alla pandemia. Per affrontarlo potrebbero essere utili gli spunti che arrivano da menti creative come quella di Kim Ha-neul. Nel suo piccolo, lo studente continuerà a riciclare: dagli sgabelli conta di passare presto a tavoli, sedie e lampade. Con la speranza di sensibilizzare le istituzioni e le aziende.


Marco Rizza
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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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