Dubbi da cenone: il salmone scozzese è sostenibile?

In questo periodo dell’anno il salmone scozzese è un alimento principe e chiedersi quanto esso sia sostenibile è quasi inevitabile. Diverse indagini hanno sollevato consistenti dubbi sulle pratiche di allevamento connesse a questo pesce e sul loro impatto ambientale. Oggi i progetti per migliorare la situazione non mancano, ma la strada appare in salita.

Il salmone scozzese
Interrogarsi su quanto il salmone scozzese sia sostenibile è, durante le feste, quasi un imperativo. La Scozia è il terzo produttore mondiale di salmone Atlantico d’allevamento, per un giro d’affari che nel 2016 ha sfiorato i 765 milioni di sterline. L’Italia figura tra i 10 maggiori importatori di questo alimento e le ultime indagini condotte sugli allevamenti hanno fatto non poco scalpore. Animali abituati a percorrere 1.600 km a nuoto vengono cresciuti nel sovraffollamento, in spazi angusti, in cui i parassiti trovano terreno fertile. L’organizzazione Compassion in World Farming ha riportato che 10 milioni di salmoni muoiono ogni anno prima della macellazione, per una percentuale che in certe strutture tocca il 25%.
Salmone scozzese e ambiente
Gli allevamenti di salmone scozzese sono considerati il principale fattore d’inquinamento delle acque del Paese. Per tenere sotto controllo i parassiti le compagnie utilizzano grandi quantità di sostanze chimiche e farmaci. Queste vengono, poi introdotte nell’ecosistema marino tramite le aperture nelle reti e provocano gravi danni a flora e fauna. I salmoni d’allevamento sono, poi, un potenziale pericolo per i loro simili selvaggi. Possono, infatti, portare malattie che questi non sono in grado di contrastare e, in casi di fughe massicce, per altro già verificatesi, costituiscono un vero e proprio disastro ecologico. I mangimi usati sono, infine, spesso a base di altri pesci. Ciò innesca un circolo vizioso altamente insostenibile.
Agire
Rendere la filiera connessa al salmone scozzese più sostenibile è una necessità e diverse realtà l’hanno compreso. L’ONG Seawilding ha lanciato un progetto per introdurre nel Loch Craignish un milione di ostriche. Questi molluschi hanno strabilianti capacità di filtraggio e arrivano a ripulire 150 l di acqua al giorno. L’organizzazione sta anche piantando campi di alghe e chiunque può contribuire donando 24 € per aggiungerne 1m2. I consumatori rimangono, comunque, protagonisti e fare acquisti consapevoli resta un dovere. Evitare di esercitare troppa pressione sull’industria può risultare altrettanto importante. Sostituire, almeno in parte, il salmone con alternative più sostenibili e non meno saporite, come sardine e sgombri, diventa allora un gesto responsabile.
Definire il salmone scozzese sostenibile appare, insomma, un azzardo. La filiera connessa all’allevamento e alla pesca di questo pesce presenta non poche criticità e ignorare i dati non è più possibile. Molti oggi dichiarano di avere a cuore la questione ambientale. Ricordarsi dei propri propositi davanti a un piatto di ottime tartine, nel bel mezzo di un pranzo natalizio è, purtroppo, tutta un’altra faccenda.
