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Cucinare il pesce: l’acqua di scarto non andrebbe sprecata

Cucinare il pesce: l’acqua di scarto non andrebbe sprecata

L’acqua usata per cucinare il pesce è ricca di nutrienti che potrebbero essere reimpiegati invece che scartati. Un nuovo progetto svedese vorrebbe imparare a riutilizzarla.

L’acqua usata per cucinare il pesce a livello industriale contiene moltissime sostanze dall’elevato valore nutrizionale che potrebbero essere riutilizzate dall’industria alimentare. Le acque per la cottura del pesce sono invece trattate oggi come prodotto di scarto e finiscono il più delle volte nei sistemi di depurazione. I ricercatori svedesi della Chalmers University of Technology stanno cercando un modo per evitare che tutto questo vada sprecato.

Non sprecare l’acqua usata per cucinare il pesce

La preparazione delle aringhe, gamberetti e molluschi richiede ingenti quantità di acqua da utilizzare durante la bollitura, la filettatura o la marinatura. Per dare un esempio: dai 7000 agli 8000 litri d’acqua sono necessari per la preparazione di una tonnellata di aringhe marinate mentre addirittura 50.000 litri sono necessari per alcune lavorazioni dei gamberi. Queste acque sono generalmente trattate come prodotto di scarto ed eliminate attraverso i sistemi di depurazione fognaria.

Ma questi sottoprodotti generati dall’industria per cucinare il pesce sono in realtà ricchissimi di micronutrienti, proteine e grassi che potrebbero, se preservati, venire riutilizzati dalla stessa industria alimentare. Il progetto NoVAcqua coordinato dalla svedese Nordic Innovation assieme alla Chalmers University è partito nel 2015 e punta proprio a recuperare questi nutrienti per evitare che finiscano perduti. Un approccio simile è già impiegato nell’industria del latte dove parte delle acque necessarie alla produzione di latte possono venire reimpiegate in prodotti alimentari o mangimi.

Un tesoro nelle acque di scarto dell’industria del pesce

I ricercatori hanno individuato come nelle acque necessarie a cucinare il pesce si trovino fino al 7% di proteine e il 2,5% di grassi. Fino al 15% delle proteine presenti nelle aringhe, ad esempio, vengono perse nelle acque al momento delle cottura. Grazie ad un metodo di recupero studiato su misura i ricercatori sono stati in grado di recuperare fino al 98% delle proteine e il 99% dei grassi ricchi in omega-3 per l’acqua delle aringhe. Il prodotto ottenuto è una massa semi-solida e ricca di nutrienti che può essere impiegata come mangime per pesci, per la coltura di alghe o per la conservazione del pesce surgelato.

«Siamo nel mezzo di una rivoluzione della proteina e c’è nel mercato una enorme domanda per fonti alternative di proteine» ha spiegato Ingrid Undeland, coordinatrice del progetto «È fondamentale riuscire a spiegare all’industria del pesce come l’acqua non sia da considerare come un prodotto di scarto ma invece come una risorsa». La sfida ora, oltre al cambio di mentalità dell’industria alimentare, è la creazione di un sistema solido ed economico di recupero per risvegliare l’interesse dei produttori.

Fonte: Chalmers University


denis venturi
Denis Venturi
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Laureato in Scienze Politiche e Comunicazione Pubblica, ha lavorato in radio e nel tempo libero si dedica alla scrittura creativa. Da sempre appassionato di cultura, scienza e tecnologia è costantemente a caccia di nuove curiosità in grado di cambiare il mondo in cui viviamo.
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