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“Brutti ma buoni”, la frutta e verdura imperfetta ma ancora mangiabile

“Brutti ma buoni”, la frutta e verdura imperfetta ma ancora mangiabile

Contro lo spreco alimentare, cresce la valorizzazione dei prodotti scartati dai supermercati per motivi estetici nonostante siano commestibili e gustosi

Con “brutti ma buoni” da qualche tempo non ci si riferisce più solo ai noti biscotti diffusi un po’ in tutto il Nord Italia. L’espressione oggi è utilizzata anche per una determinata categoria di frutta e verdura. Stiamo parlando di quei prodotti ortofrutticoli scartati dai supermercati solo perché hanno dimensioni anomale o difetti estetici tali che non incontrerebbero il gradimento dei consumatori finali, ovvero noi. Il problema è che ancora gran parte di questo cibo viene buttato costituendo non solo un vergognoso spreco, ma anche un problema per l’ambiente e un danno per i produttori.

I brutti ma buoni sono frutta e verdura scartata dai supermercati per motivi estetici nonostante sia commestibile e gustosa

“Brutti ma buoni”, frutta e verdura imperfetta ma ancora mangiabile

Il punto chiave della questione è che i “brutti ma buoni”, nonostante forme o caratteristiche spesso strane, sono tranquillamente commestibili e gustosi. In altre parole, è frutta e verdura dall’aspetto insolito che può finire senza problemi nelle nostre pentole e nei nostri piatti. Qualche esempio? Una patata a forma di cuore, una melanzana con una protuberanza simile a un naso, un kiwi o una ciliegia siamese, ovvero due frutti attaccati proprio come dei gemelli.

Perché allora tutta questa frutta e verdura viene scartata? Il motivo è da individuare negli standard di selezione dei prodotti dettati dalla grande distribuzione organizzata, vale a dire le catene dei supermercati. Standard che impongono la perfezione del prodotto, sia per la comodità nel confezionamento, sia perché noi consumatori ci lasciamo spaventare dalle piccole imperfezioni. Sono tre fondamentalmente questi parametri: la dimensione (o meglio, il calibro), la forma e la buccia. Un frutto troppo piccolo, con una strana strozzatura o che riporta delle “cicatrici” superficiali lasciate dalla grandine, non arriverà mai sugli scaffali dei negozi.

Un problema per l’ambiente

Il rifiuto dei “brutti ma buoni” va ad alimentare il fenomeno dello spreco alimentare che, a sua volta, impatta sull’ambiente. La produzione e lo smaltimento di prodotti ortofrutticoli non venduti implica comunque un rilascio di emissioni che vanno a incidere sul riscaldamento globale. Senza dimenticare che risorse preziose come il suolo e l'acqua vengono consumate, sostanzialmente, per nulla. Secondo la Fao e l’Unep, le perdite e gli sprechi alimentari concorrono fino al 10 per cento delle emissioni di gas a effetto serra. Il 14 per cento circa del cibo prodotto in tutto il mondo va perso tra il momento della raccolta e quello della vendita al dettaglio, quota che equivale a una perdita di 400 miliardi di dollari all'anno in valore alimentare.

Un danno per i produttori

Ma i “brutti ma buoni” costituiscono un danno anche per i produttori di frutta e verdura, in questo caso di carattere economico. Il no ai prodotti imperfetti della grande distribuzione rappresenta infatti un mancato guadagno per gli agricoltori. Per capire la dimensione del problema, bisogna tenere presente che, in una stagione caratterizzata dal bel tempo, i “brutti ma buoni” costituiscono in media il 20 per cento della produzione totale del campo, mentre in una stagione instabile a livello atmosferico la parte scartata può arrivare fino al 70-80 per cento.

Una soluzione per contenere i danni è quella di destinare i prodotti imperfetti all’industria della trasformazione alimentare, ad esempio per i succhi di frutta. Purtroppo non tutta la merce ha una domanda in questo settore e i prezzi imposti sono molto più bassi rispetto alla vendita dei prodotti freschi. Sostenibilità in tutti i sensi.

Le vie alternative

Per evitare lo spreco dei “brutti ma buoni” e alleviare le perdite degli agricoltori, negli ultimi anni sono nate parecchie iniziative e vere e proprie aziende che si occupano di valorizzare questo cibo, facendo da intermediari tra produttori locali e consumatori: al primo viene assicurato un equo compenso, ai secondi un prezzo conveniente e la garanzia di comprare prodotti a km zero (o quasi).

Un esempio è Bella Dentro, realtà che vende sia prodotti freschi, sia trasformati in succhi, marmellate e risotti, tramite e-commerce e in due negozi fisici di Milano. Un altro caso è Babaco Market, portale online che propone box di diverse dimensioni piene di frutta e verdura imperfetta e le consegna a casa. Insomma, dando una seconda possibilità ai “brutti ma buoni”, si aiuta il pianeta, i produttori e si risparmia qualcosina.


Marco Rizza
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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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