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Creato il primo utero artificiale efficace (per agnellini)

Creato il primo utero artificiale efficace (per agnellini)

Potrebbe significare una svolta importantissima per il trattamento dei parti prenatali, l'utero artificiale promette in qualche decina di anni di risolvere una delle maggiori cause di morte infantile nel mondo sviluppato.

Il parto pretermine è una delle maggiori cause di morti prenatali nel mondo sviluppato, quasi un terzo infatti dei decessi sono legati a malformazioni legate a questa problematica, che può verificarsi in circa il 10% dei casi. Ecco perché l’articolo pubblicato su Nature del 25 Aprile potrebbe rappresentare una vera svolta in fatto di salute prenatale: un gruppo di ricercatori è stato infatti in grado di ricostruire un utero artificiale dove poter portare a termine le ultime fasi di gestazione in maniera completamente artificiale.

«In the United States, extreme prematurity is the leading cause of infant morbidity and mortality, with over one-third of all infant deaths and one-half of cerebral palsy attributed to prematurity»

Un organo complicato

Fino ad oggi non era stato possibile trovare un sostituto artificiale a questo organo, l’utero rimaneva strenuamente inafferrabile per la sua complessità, ma finalmente un gruppo di ricercatori è riuscito a superare tutti quegli ostacoli di progettazione, biologia e tecnologia, riuscendo a mettere a punto uno dei più avanzati uteri artificiali mai assemblati. Stiamo parlando di una ‘busta’ riempita di un liquido speciale, in grado di mimare quello amniotico, in cui alcuni agnellini nati prematuramente sono potuti sopravvivere per quattro settimane, prima di essere rimessi al mondo. E, per quanto la questione possa sembrare complessa, uno dei vantaggi di questo sistema è stata proprio la sua semplicità , rispetto ad altri progetti ancora in fase di test sugli animali.

Come riportato da un articolo comparso sulla prestigiosa rivista Science, Anna David, specializzata in medicina materno-fetale alla University College London ha commentato: “Quello che sono riusciti ad ottenere è un sistema dove il feto può sopravvivere in maniera molto simile a quello che potrebbe fare nell’utero materno.” per poi aggiungere “Il feto sa cosa deve fare”, sottolineando come i medici si siano limitati, in un certo senso, a cedere il passo al piccolo esserino, mettendolo semplicemente nelle condizioni ideali per sopravvivere.

Non bisogna però rischiare di sottovalutare la faccenda, visto che alcuni degli animali prematuri hanno subito delle complicazioni e la sperimentazione su esseri umani non avrà luogo prima di altri tre anni.

Ma come funziona?

L’utero rappresenta un ambiente molto particolare e complesso, la placenta fornisce ossigeno e nutrienti, mentre i polmoni non stanno respirando aria. Il feto fluttua nel liquido amniotico composto prevalentemente dalla sua urina (la cui composizione, tranquilli, è completamente diversa dalla ‘pipì’ adulta). Così i ricercatori hanno deciso di prelevare otto agnellini prima della completo sviluppo e di collocarli in un bagno di liquido amniotico artificiale, composto da una soluzione a cui sono stati aggiunti elettroliti per mimare l’ambiente originale, con l’aiuto di un ossigenatore attaccato all’animale.

Il sistema però era ancora alle prime fasi e il risultato spesso si presentava come una sepsi e la conseguente morte dell’animale. Ci sono voluti mesi di perfezionamento per arrivare al macchinario attualmente impiegato, in grado di alimentare un circuito chiuso in cui il liquido amniotico artificiale non viene riciclato ma piuttosto scambiato con nuova soluzione, pur mantenendo l’esperimento il più isolato possibile dal mondo esterno, esattamente come accade in un vero utero, con tanto di cordone ombelicale artificiale per fornire all’animale sangue ossigenato.

Esistono però ancora diverse difficoltà, alcune nemmeno così strettamente legate a questioni tecniche, quanto piuttosto a veri e propri dilemmi morali. Innanzitutto il sistema non è studiato per feti estremamente prematuri, ma solo alla quarta settimana, che per noi umani equivarrebbe alla ventottesima, comunque cinque settimane prima del limite attuale segnato come pericoloso. La sperimentazione umana, in ogni caso, è stimata tra almeno tre anni, anche perché uno dei timori dei ricercatori è mettere al mondo bambini che, seppur sopravvissuti, portino dietro i segni indelebili della terapia a cui sono stati sottoposti.

Niente distese di uteri artificiali come immaginato dai fratelli Wachowski in Matrix insomma, ricerca e tecnologia hanno ancora molta strada da fare per arrivare così lontano. Se nel frattempo però si trovasse un’applicazione utile a salvare i bambini prematuri perché non prenderla seriamente in considerazione, senza dimenticare gli spettri etici e morali che volteggiano sull'argomento.


Matteo Buonanno Seves
Matteo Buonanno Seves
Scopri di più
Un giovane laureato in Scienze Gastronomiche con la passione per il giornalismo e il mai noioso mondo del cibo, perennemente impegnato nel tentativo di schivare le solite ricette e recensioni in favore di qualcosa di più originale.
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