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I "piaceri" culinari di Gabriele d'Annunzio

I "piaceri" culinari di Gabriele d'Annunzio

Il rapporto d'amore di Gabriele d'Annunzio con il cibo è misterioso e affascinante, proprio come le sue opere

Senso del gusto, amore per l’arte e la bellezza, cultore di ogni tipo di raffinatezza e delle più nobili conoscenze: Gabriele D'Annunzio, soprannominato il Vate, senza dubbio è stato anche cultore di sé stesso. Un narcisismo illuminato, intellettuale – si direbbe “da esteta” – che aggiunge e nulla sottrae alla sua ricca e complessa personalità. Un protagonista straordinario della letteratura italiana che, come ogni italiano che si rispetti, non può sottrarsi all’amore per il cibo. Certamente, il poeta abruzzese lo fa a modo suo…

D'Annunzio e il cibo
Foto: stux @pixabay

D’Annunzio e il cibo: una storia di seduzione e semplicità

Giordano Bruno Guerri racconta che negli anni del Vittoriale, a casa del poeta, il cibo «diventava fonte di piacere, di coinvolgimento emotivo, di seduzione, di bellezza». Difficile non credere, perché se è vero che da Gabriele d’Annunzio non era un grande mangiatore (d’altronde era per una cucina semplice ed essenziale), dall’altro il cibo divenne un accessorio estetico e a volte perfino un fedele accompagnatore delle sue pratiche amorose. Certo, prediligeva cibi semplici e il più possibile vicini alle sue origini e alla sua memoria storica, però dovevano essere presentati in modo sublime e teneva particolarmente all’allestimento del piatto e all’uso corretto delle stoviglie.

I cibi preferiti del poeta

Ma quali erano i suoi cibi preferiti? Gli piacevano molto le uova, tanto da avere al Vittoriale un pollaio ben fornito; amava costolette di vitello e patate entrambi croccanti e sottoli, mangiava poi moltissima frutta (soprattutto le mele) e aspettava con ansia i cannelloni di Albina (o Suor Intingola, o Cuoca Pingue, o Suor Ghiottizia): la sua amata cuoca. Consumava regolarmente, invece, pesce e frutti di mare, ma soprattutto non mancavano mai i risotti. Alcuni però era davvero speciali e preludio d’amore, come quello per la sua amata Duse: gamberetti e tartufi.

La cucina doveva essere sempre aperta, ma preferiva consumare i suoi pasti in privato e non in pubblico (che volgarità per il poeta!). Insomma, un amore per il cibo pieno di contraddizioni che sembrava però raggiungere un dolce accordo: sì alle mandorle tostate, ai marrons glacés, alla cioccolata, ai gelati a quantità. Senza dimenticare il “parozzo”, un pane dolce tipico abruzzese, uno dei dolciumi della sua infanzia mai dimenticata.

Negli ultimi anni al Vittoriale il poeta predilesse una dieta piuttosto severa, ma la cucina abruzzese restò sempre nel cuore e, inevitabilmente, anche nei suoi scritti. Ne apprezzava l’essenzialità, il ricordo di un tempo ormai lontano, il calore umano, la famiglia, la nostalgia di ciò che è perduto, la malinconia di ciò che non si ritrova più. E, pur essendo astemio, apprezzava così tanto i vini e i liquori della sua terra da cederne ogni tanto. In cucina poi – esempio perfetto di modernità e tradizione – era presente «un’arpa cuciniera», ovvero un telaio per la pasta alla chitarra, perché niente era come tornare a casa. Dalle sue bontà abruzzesi.


Cristina Morgese
Cristina Morgese
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Dopo aver conseguito la Laurea in Storia dell'arte e il Master in Management Museale, lavoro freelance come giornalista, copywriter e content creator. Non credo a confini già delineati, per questo mi piace oltrepassarli e trovare i fili nascosti che legano discipline diverse tra loro.
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