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I cambiamenti climatici fanno ingiallire prima le foglie in autunno. Ecco perché

I cambiamenti climatici fanno ingiallire prima le foglie in autunno. Ecco perché

Stagione calda più lunga e temperature più alte portano il tasso di fotosintesi oltre i limiti sostenuti dalle piante. E le foglie cadono prima

Il cambio di colore delle foglie e la loro caduta dagli alberi è lo spettacolo per eccellenza dell’autunno. Il fenomeno è da sempre legato all’arrivo delle temperature più fredde e all’accorciarsi delle giornate, con la fine della stagione di crescita durante la quale le piante hanno assorbito grandi quantità di anidride carbonica. Ma una nuova ricerca ha scoperto che anche i cambiamenti climatici influenzano questo “cambio d’abito” degli alberi, anticipandone addirittura i tempi.

Foglie alberi autunno clima

La scoperta

Sono l’aumento delle temperature e l’allungamento della stagione calda a fare ingiallire le foglie prima. Come noto, gli alberi assorbono CO2 dall’atmosfera e la trasformano in ossigeno durante la stagione di crescita, in primavera ed estate. È la fotosintesi, un processo fondamentale anche per gli equilibri climatici del pianeta, dato che porta al sequestro di un gas che è causa del surriscaldamento climatico. Fino ad oggi si credeva con il prolungarsi del periodo di crescita grazie all’arrivo ritardato dell’inverno gli alberi avrebbero assorbito più CO2. Ma non è esattamente così.

Uno studio del Swiss Federal Institute of Technology sostiene il contrario. Usando i dati del Pan European Phenology Project, che ha monitorato alcuni alberi per periodi fino ai 65 anni, i ricercatori hanno scoperto che all’aumento del tasso di fotosintesi, le foglie cambiano colore e cadono prima in autunno. Per la precisione, ad ogni 10 percento in più di incremento nell’assorbimento di CO2, gli alberi perdono le foglie in media con otto giorni di anticipo.

Alberi come secchielli

La ricerca è stata fatta su alberi caducifoglie tipici delle zone temperate europee, come ippocastano, betulla bianca e la farnia (la quercia più diffusa in Europa). Ma la scoperta più significativa è legata agli esperimenti controllati eseguiti su una specie di faggio e un esemplare di spiraea giapponese. Entrambi sono stati collocati alla luce del sole, in penombra e all’ombra in diverse fasi. I risultati hanno dimostrato che esiste un limite per la fotosintesi. È come se si riempisse un secchiello con l’acqua: che lo si faccia lentamente o velocemente, il contenitore prima o poi si riempie.

Raggiunto questo limite, le foglie iniziano a cambiare colore e a cadere. Il motivo? È una questione di disponibilità di nutrienti per l’albero, in particolare di azoto, e della struttura fisica della pianta stessa, soprattutto dei vasi interni nei quali sono trasportati acqua e nutrienti sciolti. L’azoto è un nutriente chiave di cui le piante hanno bisogno per crescere. È la sua limitata disponibilità che rallenta la fotosintesi e quindi la crescita. Ecco perché agricoltori e giardinieri usano fertilizzanti a base di azoto.

L’importanza della scoperta

Esistono alberi che non presentano questi limiti come l’ontano, in grado di assorbire azoto dall’atmosfera. Potrebbero crescere più a lungo in un clima con temperature più elevate. Ma le foglie continuerebbero a cadere nello stesso periodo, sempre a causa delle temperature più fredde e alle giornate più corte.

Il modello predittivo dello studio sostiene entro il 2100, quando la stagione di crescita degli alberi sarà tra i 22 e i 34 giorni più lunga, le foglie cadranno dagli alberi tra i tre e i sei giorni in anticipo rispetto alle tempistiche attuali. Questa scoperta ha delle implicazioni importanti sull’elaborazione dei modelli che prevedono l’evoluzione del clima. Con questo limite nell’assorbimento di CO2 negli alberi caducifoglie, i livelli di inquinamento del gas potrebbero salire più fretta del previsto. L’unico modo per frenare questa impennata sarebbe quello di aumentare la capacità degli alberi di assorbire l’anidride carbonica.


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