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Cambiamento climatico: come sarebbe vivere in città con 4 C° in più?

Cambiamento climatico: come sarebbe vivere in città con 4 C° in più?

Le attuali rilevazioni non riescono a predirlo. Serve prendere in considerazione altri fattori, come umidità e ventilazione, per studiare le contromisure

Come si vivrebbe in un appartamento di città con una temperatura più alta di 4°? Ancora non è possibile dirlo esattamente. O meglio, è possibile intuirlo grazie a modelli matematici e proiezioni usati dai climatologi. Tuttavia, questi calcoli raccontano solo una parte della storia. Nella maggior parte dei casi, infatti, sono basati su rilevazioni registrate in spazi aperti (e quindi più freschi) e non nelle più bollenti aree urbane, dove la maggior parte delle persone vive o vivrà in futuro.

Per capire come si vivrebbe in città con 4° in più non bastano gli attuali modelli matematici e proiezioni sulla temperatura, ma bisogna prendere in considerazione altri elementi che la influenzano nelle aree urbane

Il problema

Secondo l’UK Met Office analyses’, l’aumento di quattro punti sul termometro rispetto ai livelli preindustriali sarà raggiunto nel 2060. Partendo da questa inquietante previsione, Robert Wilby, professore esperto di modelli idroclimatici alla Loughborough University (Inghilterra), ha provato a immaginare cosa significherebbe per la vita umana un pianeta così caldo per effetto del surriscaldamento globale.

Il docente spiega che le statistiche oggi ricavate sono spesso concetti astratti, più utili a chi deve studiare le politiche in tema di clima e ambiente piuttosto che ai cittadini per capire a cosa stanno andando incontro. In più, i modelli climatici globali sono frutto di una media delle temperature rilevate su superfici naturali o agricole estese da dieci a più di cento chilometri quadri. Non tengono conto di fonti di calore come l’asfalto delle città. Si tratta, quindi, di proiezioni che dicono poco o nulla su quello che potrebbe capitare per le strade dei centri urbani e ancora meno dentro agli uffici e alle case. I posti più decisivi per la nostra salute, il nostro benessere e la nostra produttività.

Rilevazioni da migliorare

Essendo le città i posti dove si concentrerà la maggior parte della popolazione mondiale, è importante capire quali sono i rischi che correranno i loro abitanti. Entro il 2050 si stima che il 68 percento degli abitanti del pianeta potrebbe vivere in aree urbane. Se si vuole, quindi, capire cosa potrebbero significare 4° in più in un appartamento di una metropoli, bisogna tenere in considerazioni altri fattori oltre alle temperature medie.

Tra queste l’umidità, la ventilazione, il calore irradiato dalle superfici calde, il numero di persone che occupano lo spazio analizzato e il loro abbigliamento. Una temperatura di 38° è pericolosa con il 30 percento di umidità, ma se questa sale all’80 percento può essere letale. Questo perché, spiega Wilby, l’umidità riduce l’efficacia della sudorazione, il meccanismo naturale che mantiene il nostro corpo fresco. Le aree tropicali del pianeta sono quelle che rischiano di soffrire maggiormente situazioni di umidità estrema.

L’esempio

Per spiegarsi, il professore cita un’esperienza personale come esempio: il suo soggiorno ad Accra, capitale del Ghana. È lì che ha percepito la temperatura più alta mai percepita nella sua vita in un luogo chiuso, 38°. Si trovava in una stanza con pareti in legno, una tettoia metallica e sprovvista di aria condizionata. Non proprio uno spazio confortevole. In quell’ambiente, una persona avrebbe percepito i 4° in più come se fosse stato all’esterno, con l’aggiunta dell’umidità e della scarsa ventilazione.

L’allarme: quante persone a rischio?

Il problema potrebbe non sfiorarci, dato che la maggior parte di noi ha l’aria condizionata in casa. Ma nel mondo oltre un miliardo di persone vive in abitazioni come quella visitata dal docente ad Accra. E senza soluzioni per garantire condizioni migliori, le alte temperature interne, accompagnate dall’elevata umidità potrebbero essere insopportabili, o persino letali, per milioni di individui.


Marco Rizza
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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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