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Aragoste alla marijuana per farle soffrire di meno, funziona davvero?

Aragoste alla marijuana per farle soffrire di meno, funziona davvero?

Un team di ricercatori ha esposto aragoste alla marijuana per verificare se effettivamente rende bollirle vive un metodo più “umano”.

Le aragoste sono certamente una delizia. La loro preparazione tuttavia ha un serio problema: il crostaceo è esposto all’enorme sofferenza di essere bollito vivo. L’idea di utilizzare per l’aragosta i fumi della marijuana non è nuova. La speranza è quella di rendere l’animale talmente “sballato” da ridurre al minimo la sua sofferenza. Il metodo è salito all'onore delle cronache dopo le affermazioni diventate virali di una ristoratrice americana che utilizza il metodo quotidianamente. Un team di biologi californiani ha cercato di fare chiarezza sulla questione.

Aragoste e marijuana, mito o realtà?

L’americana Charlotte Gill è la proprietaria di un piccolo ristorante nella cittadina di Southwest Harbor, nel Maine. Il suo piccolo locale è salito alla ribalta delle cronache internazionali nel 2018 dopo la sua dichiarazione di esporre le aragoste alla marijuana prima di bollirle. La teoria è quella secondo cui l’esposizione al principio attivo della marijuana, il tetraidrocannabinolo (THC), renderebbe i crostacei meno sensibili al dolore e all’ansia in modo da rendere la loro cottura un processo più “umano”.

L’esperimento sulle aragoste al THC

Una squadra di ricercatori californiani dell’Università di San Diego ha deciso di verificare quanto di vero ci fosse nell'affermazione. Per questa ragione i biologi hanno costruito una apposita camera sigillata, riempita con vapori di THC. All’interno della camera le aragoste sono state esposte ai fumi per un periodo dai 30 ai 60 minuti prima di essere cucinate. Gli scienziati hanno quindi analizzato le differenze in comportamento tra le aragoste alla marijuana e quelle invece cucinate senza esposizione alla sostanza stupefacente.

Cosa dicono i risultati

Le aragoste esposte alla marijuana hanno mostrato un movimento più “lento” del normale. Il fenomeno noto come ipolocomozione è considerato normale anche per altri animali esposti ai principi attivi della cannabis. Questo, spiegano gli scienziati, mostra come le aragoste abbiano, almeno in parte, assorbito il principio attivo. Tracce di THC sono inoltre state rinvenute nelle branchie, negli artigli, nel cuore, nel cervello e nel fegato dei crostacei.

I risultati paiono tuttavia smentire le teorie di Charlotte Gill. L'ingrediente psicoattivo avrebbe infatti solo rallentato i movimenti delle aragoste nell'acqua bollente ma non le avrebbe protette dal dolore. All’analisi del comportamento le aragoste hanno dimostrato comunque una chiara risposta traumatica, cercando di evitare il contatto con l’acqua bollente. Un movimento definito “distinto” nei confronti di uno stimolo comunque doloroso. Se e quanto meno doloroso, ancora non è chiaro.


denis venturi
Denis Venturi
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Laureato in Scienze Politiche e Comunicazione Pubblica, ha lavorato in radio e nel tempo libero si dedica alla scrittura creativa. Da sempre appassionato di cultura, scienza e tecnologia è costantemente a caccia di nuove curiosità in grado di cambiare il mondo in cui viviamo.
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