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Più del 50% del bio italiano a rischio, colpa dell'acido fosforoso

Più del 50% del bio italiano a rischio, colpa dell'acido fosforoso

Oltre il 50% del biologico italiano potrebbe essere a rischio di perdere la propria certificazione, addirittura l’80% nel caso dell’ortofrutta, e la colpa sarebbe dell’acido fosforoso/fosfonico.

Il biologico italiano potrebbe essere a rischio: si parla di più del 50% dei prodotti bio e oltre l’80% se si considera l’ortofrutta coltivata nazionalmente. A sollevare la questione è il CCPB, un ente dedicato alle certificazioni - non solo biologiche - in Italia, attraverso una nota scritta da Fabrizio Piva, l’Amministratore Delegato. Causa del problema sarebbero dei nuovi limiti imposti sulla presenza di acido fosforoso/fosfonico all’interno dei prodotti bio, un vincolo più stringente rispetto a quello imposto negli altri paesi europei. Se ufficializzato, implicherebbe la perdita della certificazione da parte di moltissimi produttori biologici.

Perché l'acido fosforoso è un problema per il biologico italiano

L’acido fosforoso/fosfonico viene utilizzato come uno degli indicatori della presenza di Phosetyl Al, un fungicida il cui impiego è vietato nei prodotti biologici. Il problema non sarebbe solo nei limiti più stringenti, ma anche nello svincolare la presenza di questo composto chimico dall’acido etilfosfonico. Gli organismi di certificazioni internazionali infatti ammettono che l'acido fosforoso possa formarsi anche dopo l’uso di fertilizzanti organici come il fogliame, le alghe o altre sostanze ammesse nell’agricoltura biologica, e la sua sola presenza non possa determinare con sicurezza l’utilizzo di un fungicida vietato.

I nuovi limiti imporrebbero per questo composto un massimo di 0,05 ppm per i prodotti freschi annuali e di 0,1 ppm per i prodotti freschi da coltivazioni arboree, ma secondo le rilevazioni svolte dal CCPB, attualmente più del 50% dei campioni da loro prelevati non rientrerebbero in questi vincoli. In Europa gli enti certificatori seguono una linea guida che indica una soglia pari a 0,2 ppm, superata la quale i produttori non perderebbero la loro certificazione, ma verrebbero sottoposti a indagine.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è che, a quanto ci è dato sapere, non esiste un’indicazione ufficiale della presenza di alte concentrazioni di acido fosforoso/fosfonico nei prodotti ammessi nell’agricoltura biologica, come fertilizzanti. Gli stessi organismi di certificazione non hanno a disposizione un elenco di questi mezzi tecnici e, riporta la nota del CCPB, non c’è nemmeno una ragione scientificamente fondata affinché venga prodotta una documentazione del genere.

Quello che è necessario, conclude l’ente di certificazione, è maggiore chiarezza, anche per chi è chiamato a controllare la filiera biologica, altrimenti si corre il rischio di perdere competitività con prodotti di altre nazioni.

Nota di redazione: attualmente sul portale del Mipaaft non si leggono note ufficiali in merito, ma ci risulta sia avvenuta una riunione al Ministero. Fabrizio Piva, nella nota pubblicata sul sito dell’ente CCPB, parla di «bozze di note o circolari» come fonte delle informazioni riportate. In una sua intervista rilasciata a Daniele Bianchi, si legge «se il Mipaaft non cambierà le regole [...]», in riferimento alla questione.

Seconda nota di redazione: FederBio ha pubblicato una nota riguardo quanto segnalato dall'ente di certificazione CCPB,, sottolineando come, al momento, «l'incertezza riguarda solo alcune tipologie di prodotti trasformati.» In particolare i progetti di ricerca sull'acido fosforoso/fosfonico sono stati intrapresi dal CREA - Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria - e riguardano solo il vino e i suoi derivati.


REDAZIONE
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