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L’industria del cioccolato e la deforestazione in Costa d’Avorio

L’industria del cioccolato e la deforestazione in Costa d’Avorio

Il 40% del cacao consumato nel mondo proviene dalla Costa d’Avorio, ma la sua coltivazione va ad intaccare le aree protette del paese, cancellando la foresta pluviale. Vi sono implicati molti attori, dal piccolo coltivatore alle grandi multinazionali del cioccolato.

Il Guardian ha pubblicato un articolo sulle piantagioni di cacao illegali create in aree protette della foresta pluviale in Costa d’Avorio. Le fave di cacao provenienti da queste coltivazioni vengono commercializzate e introdotte nella catena di distribuzione delle più grandi industrie del cacao a livello globale.

Da dove viene il cacao?

Circa il 70% del cacao nel mondo viene coltivato da 2 milioni di contadini in un’area che si estende dalla Sierra Leone fino al Camerun. I principali produttori sono la Costa d’Avorio e il Ghana, a loro volta vittime della deforestazione. Attualmente, le foreste pluviali della Costa D’Avorio coprono circa il 4% del territorio, diminuite dal 1960 dell’80%. Da questo Paese proviene circa il 40% di cacao consumato nel mondo.

Il Guardian ha documentato la deforestazione in atto in ampie zone definite protette per permettere la nascita di nuove piantagioni di cacao. Le fave vengono poi rivendute alle grandi compagnie come la Mars, la Nestlè o la Mondelez, e mischiate con quelle considerate pulite perché coltivate in aree legali. Per di più la questione non si limita al cacao, come vi abbiamo raccontato in questo articolo riguardo al caffè e questo sulla deforestazione causata dal traffico di cocaina-

Secondo il gruppo ambientalista Mighty Earth, l’aumento della richiesta sul mercato globale e la mancata attuazione di un piano per prevenire questa escalation porterebbe alla scomparsa delle foreste pluviali nella zona entro il 2030. Sul report «Chocolate’s Dark Secret» si legge che nelle aree protette della Costa d’Avorio il 90% è stata trasformata in piantagione. In questo processo sono implicati agricoltori, intermediari locali e agenti di commercio che immettono il prodotto nel mercato europeo e americano.

Le coltivazioni e i cambiamenti climatici

Negli ultimi anni la deforestazione all’interno di queste aree è raddoppiata e ad una velocità maggiore rispetto alle zone non protette. La questione non riguarda solo la scomparsa della foresta in sé, ma anche la sopravvivenza delle coltivazioni: secondo uno studio pubblicato su Science Direct, questo fenomeno si ritorce contro gli stessi agricoltori. L’aumento delle temperature e i conseguenti periodi di siccità possono essere contrastati solo da nuove strategie, tra cui l’uso di alberi per portare ombra alle piantagioni e proteggerle dal caldo torrido. Gli stessi alberi che ora vengono tagliati per fare posto alle piantagioni. La distruzione del parco nazionale del Mount Tia è cominciata nel 2004, allo scoppio della guerra civile, mentre la foresta protetta di Mount Sassandra è rimasta intaccata fino al 2011.

Le multinazionali del cioccolato

Alcune aziende contattate dal Guardian, tra cui Mars, Mondelez e Nestlé, hanno convenuto che la deforestazione sia un problema e che si debba trovare una soluzione. Tutte prendono la questione molto seriamente e in alcuni casi stanno già portando avanti dei progetti per fare in modo che entro il 2020 il loro prodotto provenga solo da piantagioni biologiche e legali. L’unica a non aver rilasciato dichiarazioni è stata la Ferrero.

A giugno numerose aziende produttrici hanno firmato una dichiarazione d’intenti per fermare la deforestazione e lo sfruttamento delle foreste pluviali. Inoltre, a novembre si riuniranno in una conferenza indetta dalle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Bonn. Il Guardian riporta che nessuna delle compagnie attualmente supporterebbe una moratoria contro la deforestazione, sebbene questo strumento sia stato utile contro le coltivazioni illegali di soia in Amazzonia.

La questione non riguarda però solo loro: la situazione politica interna al paese non è d’aiuto. Le due maggiori autorità in campo, la Sodefor, agenzia governativa per la protezione delle foreste, e la OIPR (Office Ivorien de Parcs e Reserves) non stanno facendo il loro lavoro. Il Guardian ha scoperto diversi casi di pagamenti di tangenti alle autorità per far chiudere un occhio e casi di racket da parte delle autorità dell’OIPR. Vi è un altro organo per il controllo e la supervisione delle piantagioni di cacao, il Conseil Cafè Cacao, che porta vanti un programma chiamato «Cocoa, Friend of the forest», ma i risultati sono minimi. Altro aspetto riguarda il dislocamento dei contadini che vivono di queste coltivazioni: dovranno essere ricollocati e trovato un nuovo settore in cui impiegarli.

L’industria del cacao rappresenta uno dei settori trainanti dell’economia del paese e arriva a toccare i livelli più alti della società ivoriana. Oltre alle tangenti, vi sono stati casi di minacce contro attivisti o giornalisti che si occupano della questione: nel 2014, il giornalista franco-canadese Guy-Abdrè Kieffer è scomparso e probabilmente ucciso. Come afferma il Guardian, gli attivisti sono stati avvertiti di non interessarsi della questione se non vogliono finire in guai seri.

Vi è un paradosso in questa situazione: i contadini che lavorano in queste piantagioni sono molto spesso sfruttati e sottopagati. Sono loro a produrlo e farlo arrivare fino in Europa, ma sono al tempo stessi i primi a non potersi permettere una barretta di cioccolato.

Fonti: theguardian.com - worldcocoafoundation.org - sciencedirect.com - mightyearth.org


Carlotta Pervilli
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Laureata in Storia, ma appassionata di giornalismo. Disorientata tra conflitti mondiali e ambiente, resta certa solo di una cosa: l’essere curiosa.
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