Il buco nell’ozono si sta chiudendo: il recupero sarà completo entro il 2040

Secondo l’ultimo report delle Nazioni Unite il buco nell’ozono si sta finalmente chiudendo. Il recupero dello strato che protegge il pianeta dovrebbe risultare completo entro i prossimi decenni e le peggiori conseguenze di un disastro ambientale senza precedenti sembrano essere state arginate. L’umanità può guardare con orgoglio a una vittoria, ma le sfide sono tutt’altro che finite.

Il buco nell’ozono chiuso entro il 2040
Dopo anni di sforzi il buco nell’ozono continua a ridursi e presto il recupero potrebbe essere completo. A dirlo è il report quadriennale presentato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale con cui le Nazioni Unite monitorano la situazione dal 1989. Secondo quanto emerso dal documento i progressi sono costanti fin dall’approvazione del Protocollo di Montreal e oggi il 99% delle sostanze nocive per l’ozono è stato eliminato.
Le stime suggeriscono, dunque, che lo strato tornerà alle condizioni del 1980 entro il 2040. Il buco potrebbe, quindi, nei prossimi anni chiudersi completamente sulla quasi totalità del pianeta. Fanno eccezione i Poli per cui i tempi saranno più lunghi. Ci si attende, infatti, che la ripresa sia ultimata entro il 2045 sull’Artide e per il 2066 sull’Antartide.
Una vittoria
I dati sulla chiusura del buco nell’ozono sono significativi. Questo gas, infatti, forma, nella parte bassa della stratosfera, uno strato in grado di filtrare le radiazioni ultraviolette. Perderlo avrebbe, dunque, avuto conseguenze devastanti per pianeta, ecosistemi e salute. Il primo allarme per la perdita di tale gas è stato lanciato negli anni 80 e la comunità internazionale ha prontamente risposto. Nel 1989 il Protocollo di Montreal ha messo al bando i clorofluorocarburi (CFC), usati come refrigeranti e solventi.
Ciò è stato fondamentale anche per la lotta alla crisi climatica. Tali sostanze avrebbero, infatti, aumentato la temperatura della Terra di 1 °C entro il 2050. L’entrata in vigore dell’Emendamento di Kigali, con cui è stato proibito anche l’uso degli idrofluorocarburi (HFC) nel 2019, ha completato l’opera, evitando un surriscaldamento ulteriore di 0.5 °C.
Il futuro
Petteri Taalas, Segretario Generale del WMO, ha sottolineato che le azioni intraprese per il buco nell’ozono costituiscono un precedente significativo nell’ambito della lotta al riscaldamento globale. Il successo, ha continuato, mostra quanto “si può, e si deve” ancora fare. Gli scienziati sono consapevoli della differenza di contesto.
Una limitazione nell’uso dei combustibili fossili coinvolge un numero di realtà non paragonabile a quello interessato dal Protocollo di Montreal. Ridurre le emissioni implica, poi, un cambio radicale di stile di vita e l’orologio non è dalla parte dell’uomo. Il recupero dello strato di ozono mostra, infatti, che la natura ha bisogno di tempo e l’effetto riscaldante di gas serra come la CO2 è destinato a non esaurirsi in breve.
Sapere che il buco nell’ozono si sta chiudendo trasmette speranza. A spaventare gli scienziati è ora, però, la pratica nota come iniezione di aerosol stratosferico. Con essa si propone di introdurre in atmosfera milioni di particelle di zolfo con cui bloccare le radiazioni solari e rallentare il surriscaldamento del pianeta. Il timore è che l’ozono finisca per essere danneggiato. Approfondire la ricerca per evitare bruschi passi indietro appare prioritario.
