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Escrementi umani come fertilizzanti: uno studio dimostra la loro efficacia

Escrementi umani come fertilizzanti: uno studio dimostra la loro efficacia

Una ricerca fatta coltivando dei cavoli evidenzia che gli escrementi umani sono fertilizzanti agricoli validi tanto quanto i concimi organici

L’uso degli escrementi umani come fertilizzanti agricoli garantisce la stessa produttività che si ottiene utilizzando i concimi organici che si trovano in commercio. A dimostrarlo è uno studio di un team di ricercatori tedeschi e svizzeri pubblicato dalla rivista scientifica Frontiers in Environmental Science. Feci e urine garantiscono infatti al suolo quei nutrienti necessari alle coltivazioni per crescere sane. E ciò senza rischi per la salute dei consumatori derivanti dalle sostanze che i nostri organismo espellono attraverso esse. Potrebbe rivelarsi una soluzione utile per diminuire la produzione di fertilizzanti chimici, responsabile di un forte consumo energetico e di inquinamento.

Escrementi umani come fertilizzanti: uno studio dimostra la loro efficacia
Foto: Clint McKoy @Unsplash

Escrementi umani come fertilizzanti, lo studio

Messa così l’ipotesi non è molto elegante e desiderabile. Tuttavia, se ci si pensa bene, i nostri antenati hanno usato i loro escrementi per migliaia di anni nei campi. E sicuramente senza controlli preventivi su essi. Questi rifiuti prodotti dal nostro corpo contengono infatti i nutrienti chiave necessari alle piante per crescere, a partire da azoto, potassio e fosforo. Anche per questo i ricercatori hanno deciso di studiare questo metodo di coltivazione.

Lo hanno fatto impiegando tre diversi prodotti creati con escrementi umani in un campo coltivato a cavoli cappuccio poco distante da Berlino: un fertilizzante conteneva solo feci, mentre gli altri due erano derivati dell’urina. Per raccogliere gli scarti del corpo sono state usate delle toilette a secco. Gli effetti di questi concimi speciali sono stati confrontati poi con quelli ottenuti con l’impiego di un fertilizzante organico commerciale (vinasse) ottenuto dalla barbabietola da zucchero e sottoprodotto della produzione di bioetanolo.

I ricercatori non hanno considerato i fertilizzanti sintetici per il confronto in quanto hanno evidenziato che l’impatto di questi prodotti sull’ambiente è notevole. In particolare, inquinano aria e acqua, provocano perdite importanti tra la fauna selvatica e rilasciano grandi quantità di gas serra. La produzione di quelli a base di azoto, inoltre, è responsabile del 2 percento dell’uso energetico globale.

I risultati della ricerca

Le coltivazioni di cavoli cappuccio con i fertilizzanti a base di urina hanno fatto registrare risultati simili a quelli del fertilizzante commerciale preso a riferimento. Quello prodotto con le feci ha invece avuto una resa media del 20-30 percento inferiore rispetto a quest’ultimo. Ma con un effetto interessante: ha rinforzato la presenza di carbonio nel suolo, sostanza che mantiene la fertilità a lungo termine nel terreno.

Il bilancio finale ha dimostrato che l’opzione più sostenibile sarebbe quella di creare un compost unendo urina e feci. Così facendo, i ricercatori riportano che i raccolti sarebbero solo del 5-10 percento inferiori rispetto a quelli ottenuti con il concime commerciale.

“Nessun rischio” per la salute

Viene naturale porsi un dubbio: ma non ci sono rischi per la salute derivanti dal passaggio delle sostanze chimiche eliminate dal corpo negli ortaggi coltivati? Negli escrementi umani raccolti per la ricerca, sono state individuate 310 composti. Le più presenti erano l’ibuprofene e la carbamazepina (usata, tra le altre cose, contro l’epilessia).

Sono state rintracciate soprattutto nelle parti edibili dei cavoli, come le teste, ma in quantità estremamente ridotte. I ricercatori hanno specificato che sarebbe necessario mangiare mezzo milione di teste di cavolo per assumere l’equivalente di una pillola di carbamazepina. “In generale – scrivono – il rischio per la salute derivante dall’ingresso nel sistema alimentare di composti farmaceutici attraverso un concime di feci sembra basso”.


Marco Rizza
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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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