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Cosa ci dicono le ali degli uccelli sull’inquinamento?

Cosa ci dicono le ali degli uccelli sull’inquinamento?

Una ricerca dell’Università di Chicago ha permesso di migliorare i dati sulle emissioni di nero di carbonio da fine Ottocento sino a giorni nostri. E il metodo usato è alquanto singolare.

Due ricercatori dell’Università di Chicago, Shane DuBay e Carl Fuldner, hanno analizzato più di 1300 diverse specie di uccelli conservati in diversi musei americani dal 1880 al 2015, provenienti dal Michigan, Pennsylvania, Ohio, Indiana, Illinois e Winsconsin. Cosa accomuna tutti questi stati? Tra tutti gli stati americani, sono tra quelli più coinvolti nello sviluppo dell’industrie manifatturiere e centrali a carbone. In questo modo i due ricercatori sono riusciti a ripercorrere storicamente la concentrazione delle emissioni di «black carbon», o nero di carbonio, negli Stati uniti.

Sta tutto nelle ali

La ricerca, pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences e ripresa da Scientific American, si concentrata sulle ali degli esemplari, in particolare sulla fuliggine rimasta attaccata al piumaggio. Usando una tecnologia particolare che analizza la quantità di luce riflessa, sono arrivati alla conclusione che meno luce veniva riflessa, più fuliggine vi era sulle piume. La ricerca ha tenuto conto anche degli uccelli che fanno la muta, cambiando quindi il piumaggio ogni anno. In questo modo, le polveri dell’anno precedente venivano perse, lasciando solo quelle accumulate prima di morire. I dati raccolti hanno permesso di coprire un arco temporale di 150 anni.

Nuove stime

Questi risultati ridefiniscono le stime finora calcolate dagli scienziati. Non si tratta di sconfessare ciò che finora era stato scoperto, ma anzi scoprire che i livelli erano maggiori rispetto alle stime attuali, in particolar modo tra il 1880 e il 1910. E ciò apre anche un'altra ipotesi: le emissioni date dalla combustione del carbone probabilmente hanno avuto un impatto ancora più forte sul cambiamento climatico e ben prima di quanto sospettassimo. Finora gli scienziati hanno usato proiezioni calcolate su modelli e dati presi dai campioni di ghiaccio dell’Artico. Il problema era che spesso le stime non combaciavano tra loro.

Perché il carbone?

Il nero di carbonio, chiamato anche nerofumo, è una sostanza presente nel particolato prodotto dalla combustione parziale di combustibili fossili come il petrolio o biomasse. Svariate ricerche suggeriscono che questa sostanza sia la seconda causa del riscaldamento climatico a cui stiamo assistendo dopo l’anidride carbonica. È considerata anche una delle maggiori sostanze inquinanti e dannose per la salute umana. A seconda della grandezza e forma delle singole particelle si riesce a determinare quanto calore assorbano e l’impatto che possono avere sull’ambiente.

Fonti: scientificamerican.com - pnas.org


Carlotta Pervilli
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Laureata in Storia, ma appassionata di giornalismo. Disorientata tra conflitti mondiali e ambiente, resta certa solo di una cosa: l’essere curiosa.
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