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Che cosa si intende con “plant blindness” o “cecità alle piante”?

Che cosa si intende con “plant blindness” o “cecità alle piante”?

Le espressioni plant blindness o cecità delle piante indicano un aspetto interessante, anche se molto triste, nel rapporto tra uomo e vegetazione

Alcuni la vedono come un grosso problema per il pianeta. Altri la considerano quasi una malattia. È la “plant blindness”, espressione inglese traducibile in “cecità alle piante” o “cecità vegetale”. Si tratta di una condizione che caratterizza l’uomo che, nel tempo, è diventato incapace di notare la vegetazione attorno a sé. E, di conseguenza, di comprendere il valore che il regno vegetale ha per la sua esistenza. In altre parole, come suggerisce l’espressione, la maggior parte delle persone non considerano prati, fiori, arbusti e alberi quando se li trovano davanti nella vita di tutti i giorni.

plant blindness cecità alle piante
Foto: Esther Tuttle @Unsplash

Il significato di “plant blindness”

L’espressione “plant blindness” è stata coniata nel 1998 dai botanici americani James Wandersee ed Elisabeth Schussler. I due esperti l’hanno definita come “l’incapacità di vedere o notare le piante nel proprio ambiente”, condizione che, in aggiunta, porta “all’incapacità di riconoscere l’importanza delle piante nella biosfera e per le attività dell’uomo”.

La cecità alle piante impedisce all’uomo anche di “apprezzare le caratteristiche estetiche e biologiche uniche delle piante” e lo spinge a “classificarle in modo sbagliato e antropocentrico come inferiori agli animali, portando all’erronea conclusione che esse non siano meritevoli della considerazione umana”. Infine, hanno specificato i due botanici, “la plant blindness è un fattore nel continuo declino dei programmi universitari in botanica, erboristeria e di altre facoltà collegate alle scienze delle piante”.

Cecità alle piante, un esempio

La plant blindness o cecità alle piante è dimostrabile semplicemente mostrando una foto che ritrae uno scorcio di natura. Se, ad esempio, si mostra a una serie di persone un’immagine di un leone immerso nella savana africana chiedendo loro cosa vedono, queste risponderanno focalizzandosi sull’animale, anche se con parole diverse: “un leone”, “un leone selvatico” o, nel migliore dei casi, “un leone selvatico in Africa”.

Ma nessuno replicherà dicendo “la savana africana nella stagione secca con alcuni fantastici boschetti di acacia e un leone disteso su un letto di erba secca rossa”. E questo, nonostante il 90% dell’immagine, sia composto da vegetazione. Questo perché l’uomo non percepisce le piante nello stesso modo in cui percepisce gli animali.

Una questione di percezione

Una cosa incredibile se si pensa che le piante rappresentano il 98-99% della massa della Terra. Ma come mai l’uomo ha sviluppato questa cecità alle piante? Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, professore all’Università di Firenze e scienziato di prestigio mondiale, ha spiegato a Focus che questa condizione è dovuta al fatto che “nel corso della nostra evoluzione, le piante non siano mai state percepite come un pericolo, un antagonista che poteva mettere in discussione la capacità di sopravvivenza dell’uomo. È questo il motivo fondamentale per cui il cervello umano ha imparato a non guardarle”.

Cercasi cura contro la plant blindness

In un intervento del 2015 sul sito del Guardian, Robbie Blackhall-Miles, orticoltore specializzato in conservazione, aveva sottolineato la necessità di trovare una cura contro la plant blindness, effetto da lui considerato quasi come una malattia. Indicava l’urgenza di far tornare a vedere alle persone le piante come esseri viventi essenziali per la nostra vita su questo pianeta e non solo come oggetti ornamentali per il giardino o la casa.

Bisogna ritornare a vedere le piante – scrisse – come elementi di importanza vitale dei nostri ecosistemi che ci vestono, ci nutrono, ci forniscono l’ossigeno che respiriamo e le medicine che ci curano. Devono essere inquadrate come spugne di anidride carbonica che permetteranno di ridurre il riscaldamento globale, come regolatrici dell’impatto della siccità e come manutentrici delle forniture di acqua potabile. Devono essere viste come quei complessi di organismi viventi, nella loro miriade di forme, che sono effettivamente”.


Marco Rizza
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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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Giornalista, ex studente della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Osservatore attento (e preoccupato) delle questioni ambientali e cacciatore curioso di innovazioni che puntano a risolverle o attenuarne l'impatto. Seguo soprattutto i temi legati all'economia circolare, alla mobilità green, al turismo sostenibile e al mondo food

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