Canna da zucchero Ogm, prima autorizzazione in Brasile

Una prima a livello mondiale: la commissione tecnica nazionale per la biosicurezza brasiliana ha dato l’ok, nello stato del Sud America sarà possibile coltivare una varietà geneticamente modificata di canna da zucchero. Questa particolare pianta è stata prodotta dal Centro de Tecnologia Canavieira (CTC) con l’obiettivo di resistere ad una particolare specie di insetti.
La risposta ad un problema economico
Partiamo dalle premesse: per il Brasile quello dello zucchero è un mercato di fondamentale importanza, tanto da essere di gran lunga i primi produttori mondiali, doppiando l’India al secondo posto con addirittura 672.157.000 di tonnellate prodotte all’anno. Il prodotto poi è esportato in 150 paesi, costituendo una delle principali entrate del paese.
Esiste però un insetto parassita, la Diatraea saccharalis per la precisione, che attacca senza pietà le coltivazioni di canna da zucchero di tutto il Brasile, facendo perdere agli agricoltori circa 1,52 miliardi di dollari l’anno in raccolto danneggiato. Il gene aggiunto a queste piante per renderle resistenti è quello proveniente dal Bacillus thuringiensis, meglio conosciuto come gene Bt, codificatore di una proteina in grado di scacciare l’insetto.
Tra paure e autorizzazioni
Il problema ora è degli stati che importano lo zucchero da questa nazione, i famosi 150 paesi a cui accennavamo prima, dei quali circa il 60% però non richiede alcuna autorizzazione delle autorità regolatorie per quanto riguarda gli Ogm. Qui entra in gioco l’approvazione della Commissione brasiliana per la biosicurezza, che invece apre la strada verso quei paesi che pretendono rassicurazioni su questi prodotti. Tra questi troviamo Cina, India, Giappone, Russia, Corea del Sud e Indonesia oltre che Stati Uniti e Canada, a cui è già stata fatta domanda.
In ogni caso dovremo aspettare almeno tre anni per vedere le prime piantagioni Ogm comparire in Brasile mentre per arrivare al 15% della coltivazione complessiva di canna da zucchero del paese - parliamo di 10 milioni di ettari - si dovranno aspettare almeno una decina d’anni.
Fonti: ilfattoalimentare.it - ambientebio.it
