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Zone umide costiere: persi 4mila km2 di ecosistemi in 20 anni

Zone umide costiere: persi 4mila km2 di ecosistemi in 20 anni

Le zone umide costiere sono preziose per l’equilibrio terrestre, ma l’attività umana minaccia la loro sopravvivenza e gli scienziati chiedono interventi

Le zone umide costiere sono una risorsa incredibile per uomo e natura, ma oggi il loro stato di salute preoccupa gli esperti. Uno studio pubblicato in Science ha indagato sulla questione portando alla luce dati inquietanti. Questi ecosistemi si stanno, infatti, restringendo a causa dell’azione umana e ora intervenire prima che sia troppo tardi appare una priorità.

zone umide costiere
Foto: Stacey Gabrielle Koenitz Rozells @Pexels

Lo studio

A portare avanti lo studio sulle zone umide costiere ci ha pensato un team dell’Università di Cambridge. I ricercatori hanno condotto per la prima volta un lavoro sistematico sull’estensione di questi ecosistemi servendosi di immagini satellitari e Machine Learning. Oggi le conoscenze su come essi stiano reagendo ai rapidi cambiamenti che avvengono sul pianeta sono purtroppo limitate. Gli esperti sono però consapevoli che la Terra non può prescindere da tali ecosistemi. Essi sequestrano, infatti, grandi quantità di carbonio e, a differenza delle paludi d’acqua dolce, lo fanno senza emettere metano. Rappresentano, poi, un baluardo difensivo contro erosione, innalzamento dei mari e tempeste, oltre a generare pesce in abbondanza.

Le zone umide costiere sono in pericolo?

I dati emersi sulle zone umide costiere tracciano un quadro ambiguo fatto di luci e ombre. Oggi nel mondo questi ecosistemi ricoprono 354.600 km2. Gli ambienti più rigogliosi sono situati nel delta del Rio delle Amazzoni, in Africa su quello del fiume Niger e in Nuova Guinea, e in Asia sul Golfo del Bengala. Tra il 1999 e il 2019, però, ben 13.700 km2 di questi ecosistemi sono andati perduti a causa di agricoltura, urbanizzazione e innalzamento del livello dei mari. Nello stesso periodo 9.700 km2 di ambienti degradati sono stati ripristinati grazie agli sforzi delle autorità competenti. Il bilancio ammonta dunque a una perdita di 4.000 km2 di paludi salmastre.

Il futuro

Lo studio sullo stato delle zone umide costiere deve servire da punto di partenza. L’uomo si è dimostrato tanto il responsabile, diretto o meno, delle perdite, quanto colui a cui attribuire il merito del ripristino. Le possibilità per portare il bilancio in positivo non mancano. Gli autori sperano che il lavoro si riveli uno strumento chiave. Informare le autorità su quali siano le zone più a rischio dovrebbe, infatti, favorire la messa a punto di strategie mirate e coerenti. Approfondire la ricerca rimane, comunque una priorità. È infatti evidente che il riscaldamento globale ha un impatto anche su ambienti che si pensava potessero adattarsi facilmente alle nuove circostanze.

Guardare alla situazione delle zone umide costiere fa riflettere. L’attività umana sta ormai influenzando la natura in maniera significativa e la sensazione è che spesso questo dato di fatto venga deliberatamente ignorato. Il rischio è quello di trovarsi faccia a faccia con circostanze irreversibili e fuori tempo massimo. Il distino delle paludi salmastre sembra proprio legato alla nostra capacità di evitare tale pericolo.


Alice Facchini
Alice Facchini
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Laureata in Filosofia, credo fermamente che ogni sfaccettatura del sapere umano meriti di essere inseguita. Amo la lettura, gli animali e la natura e penso che solo continuando a farsi domande sia possibile mantenere uno sguardo vigile sul mondo.
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Laureata in Filosofia, credo fermamente che ogni sfaccettatura del sapere umano meriti di essere inseguita. Amo la lettura, gli animali e la natura e penso che solo continuando a farsi domande sia possibile mantenere uno sguardo vigile sul mondo.
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