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Sottaceti: batteri e salamoia a confronto

Sottaceti: batteri e salamoia a confronto

Il cibo fermentato fa parte della storia dell’umanità da millenni ormai ma solamente negli ultimi anni stiamo capendo a fondo la natura del loro successo.

Se l’idea di un cibo carico di batteri vi fa inorridire meglio che vi mettiate il cuore in pace: ogni cibo che subisce una fermentazione è stato almeno in parte consumato da una folta e agguerrita schiera di microrganismi. In particolare i protagonisti di questa tipologia di prodotti sono i batteri lattici. Ma cosa c’entra tutto questo con i sottaceti?

Due metodi per due risultati simili

C’è una sottile confusione di fondo che va risolta: con sottaceto si possono intendere due metodi diversi di conservazione. Il primo prevede una fermentazione lattica intrinseca, per cui bisogna ringraziare i batteri citati poco più sopra. Per la seconda invece non c’è bisogno di tirare in ballo alcun microrganismo particolarmente utile, basterà una salamoia prodotta con aceto, sale e acqua.

Un prodotto «predigerito»

Potrà fare un po’ impressione, ma ogni cibo fermentato fondamentalmente è stato, almeno parzialmente, digerito da qualche microrganismo. Ed è meglio essere grati a questi batteri, in particolare a quelli lattici, perché riescono a rendere più longevi alcuni prodotti.

Non è un’arte semplice quella della fermentazione lattica: la verdura - principalmente cetrioli e crauti - viene lavata, mondata e tagliata e poi cosparsa di sale, impiegato come agente per selezionare i microrganismi utili. In altre parole si creerà un ambiente in cui solo i batteri utili per la fermentazione possano sopravvivere, in particolare ad un pH più acido del solito. In caso di fallimento in questa selezione si potranno notare tutta una serie di anomalie nel prodotto, da marcescenze a rammolimenti fino ad alterazione di colore.

La semplice aggiunta di aceto

La versione, in un certo semplificata, della tecnica precedente viene ottenuta aggiungendo dell’aceto ad alimenti come ortaggi, funghi e anche pesci. Anche in questo caso il prodotto inizia venendo lavato, mondato e nel caso cotto, per poi essere messo in un liquido di governo - o salamoia - acido e bollente. Stiamo parlando di un pH alimentare vicino a 4,6. Come nel caso precedente l’obiettivo è tenere a bada i microrganismi maligni dal nostro cibo, in particolare bisogna considerare che i batteri si sviluppano tra 6,5 e 7,5 di pH; le muffe a circa 6 e i lieviti in un range tra 3 e 4.

Qui entra in gioco la questione della bollitura, basta infatti che la temperatura rimanga vicina ai 100 gradi per limitare al minimo la possibilità che un numero sufficiente di batteri riesca a sopravvivere. Per aumentare ulteriormente il potere antibiotico dell’aceto si possono impiegare anche il sale da cucina, ma ancora meglio spezie con proprietà antisettiche o battericide, o con qualche spicchio d’aglio, per lo stesso motivo.


Matteo Buonanno Seves
Matteo Buonanno Seves
Scopri di più
Un giovane laureato in Scienze Gastronomiche con la passione per il giornalismo e il mai noioso mondo del cibo, perennemente impegnato nel tentativo di schivare le solite ricette e recensioni in favore di qualcosa di più originale.
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