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Le origini e il futuro della piramide alimentare

Le origini e il futuro della piramide alimentare

Fu un grande momento, almeno per certi versi, il passaggio in cui parte dell'umanità si rese conto di non avere problemi di scarsità di cibo quanto piuttosto di sovrabbondanza: fu in quel momento che nacque l'alimentazione

Il ricordo di una rappresentazione iconografica piramidale, per spiegare a un pubblico poco recettivo quanto e cosa dovrebbe mangiare, risale bene o male già ai tempi delle scuole medie: la piramide alimentare trovava lo spazio per infilarsi in qualche lezione accompagnata, nella peggiore delle ipotesi, dai brontolii acuti di chi non vedeva l’ora che arrivasse la pausa pranzo per applicare quegli astratti insegnamenti.

Le origini

Durante la seconda metà dello scorso secolo la comunità scientifica si è venuta a scontrare con un problema relativamente nuovo: l’alimentazione, da essere un problema di mancanza, divenne un problema di eccesso. Troppi alimenti a disposizione, troppo facilmente reperibili. Occorreva dunque mettere la popolazione al corrente di come ci si dovrebbe nutrire, in maniera semplice e diretta, anche solo per indicare quali alimenti consumare di più o di meno.

Alcune fonti riportano che già nel 1982 e nel ‘86 si erano stese le prime rappresentazioni grafiche, anche se il risultato che conosciamo meglio è uno: nel 1992 l’Usda (United States Department of Agriculture) introduce la distribuzione degli alimenti su un pattern piramidale, mettendo alla base quelli che potremmo definire carboidrati complessi, dalla pasta al riso passando per il pane e al vertice, come prodotti da consumare con molta parsimonia, zuccheri e grassi. Appena sopra alla base trovavano spazio frutta e verdura, già ritenute fondamentali per una dieta sana, e tra loro e il vertice l’ultima categoria, composta dai prodotti proteici come pesce, carne e formaggio.

Dieci anni più tardi...

Una decina di anni dopo, nel 2003, fu chiara la necessità di superare alcune convinzioni ormai datate nell’ambito dell’alimentazione, ristrutturando completamente le prime piramidi e introducendo le più recenti scoperte in ambito salutistico. Così Stampfer e Willet, due ricercatori statunitensi, pubblicarono una nuova versione, la New Food Pyramid, in cui vengono introdotti nuovi concetti, primo fra tutti la divisione tra grassi di origine animale e vegetale. Viene anche rivisto il consumo di carne, limitando in particolare quello di carni rosse, e anche i carboidrati raffinati cominciano a essere visti di cattivo occhio.

A coronare il tutto, completamente assente nella precedente schematizzazione, l’attività fisica, ritenuta fondamentale da accostare ad una dieta bilanciata per rimanere in un duraturo stato di buona salute. Nasce a questo punto un’altra consapevolezza, e cioè che la dieta deve essere pensata non in maniera assoluta, individuando gli alimenti migliori per tutti, piuttosto in chiave relativa: fascia d’età, sesso, lavoro svolto, attività fisica giornaliera, eventuali patologie, tutti parametri che possono influenzare la composizione di una dieta.

Una storia alla frutta?

Molti nutrizionisti, in questi due decenni, hanno evidenziato alcune lacune in questo metodo di rappresentazione: poca chiarezza sulla effettiva quantità di alimenti che bisognerebbe consumare e prima ancora distinguere chiaramente gli alimenti sani da quelli più pericolosi. Per ovviare al problema si è deciso di cambiare sistema di rappresentazione, passando dalla piramide al piatto, il cui merito sembrerebbe essere la maggiore chiarezza per la costruzione del singolo pasto, evidente se si pensa al fatto che metà di quel metaforico piatto è riempito da frutta e verdura.

Versione ancora più raffinata di questo primo modello è stata quella concepita dalla Harvard School of Public Health, in cui viene ridotto il consumo di latte e derivati, decisamente sostenuto nelle versioni precedenti, a una o due porzioni al giorno.

E da noi?

In Italia ci sono state diverse reinterpretazioni della classica piramide, la prima nel 2005 con il lavoro dell’Istituto di Scienza dell’Alimentazione dell’Università di Roma “La Sapienza”, differenziandosi dai primi modelli statunitensi mettendo alla base frutta e verdura. Nel corso degli anni ha subito diverse evoluzioni e restyling, arrivando ad essere plasmata sulla settimana piuttosto che il singolo giorno, integrando quelle che sono i principali protagonisti della dieta mediterranea come l’olio d’oliva o i legumi. In pieno 2009 il Centro Universitario Internazionale di Studi sulle Culture Alimentari Mediterranee ne pubblica una ulteriore nuova versione, col nome di Piramide Alimentare della Dieta Mediterranea Moderna, alla cui base si trova l’attività fisica, la convivialità a tavola, il consumo di molta acqua e, non ultimo, l’attenzione al consumo di prodotti locali.


REDAZIONE
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Raccontare e spiegare cibo, sostenibilità, natura e salute. Un obiettivo più facile a dirsi che a farsi, ma nella redazione di inNaturale non sono queste le sfide che scoraggiano. Siamo un gruppo di giovani affiatati in cerca del servizio perfetto, pronti a raccontarvi le ultime novità e le storie più particolari.

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